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Combattere la tratta e la retorica prostituente

Raccogliamo e pubblichiamo volentieri una riflessione profonda e strutturata di Maddalena Celano, docente, attivista e studiosa, femminista abolizionista, autrice di diversi articoli e saggi sul tema della lotta alla tratta e alla prostituzione. 

A Favore dell’Abolizionismo Femminista contro il movimento prostituente e l’ industria prostituente

Parte II

La distinzione tra lavoro sessuale autonomo e dipendente è una falsa dicotomia, poiché in entrambi i casi le donne rimangono vulnerabili e soggette a sfruttamento. Inoltre, l’agenda della lobby pro-sfruttamento mina gli sforzi delle femministe abolizioniste, infiltrandosi nei movimenti femministi e promuovendo una visione distorta della prostituzione come scelta libera. Prima del 2003, la Nuova Zelanda si trovava in un limbo legale per quanto riguardava la prostituzione: mentre gestire bordelli era illegale, la domanda di sesso a pagamento era legale. Questa ambiguità ha creato un ambiente in cui le donne nel mercato del sesso erano esposte a sfruttamento e violenza, senza alcuna protezione reale. Il Prostitution Reform Act (PRA) del 2003 era visto come una promessa di maggiore autonomia e sicurezza per le donne prostitute. Tuttavia, i risultati dopo più di 15 anni di decriminalizzazione totale raccontano una storia molto diversa.

Il PRA ha trasformato i centri massaggi e le saune in bordelli ufficiali, rendendo legale la gestione di tali luoghi. Tuttavia, anziché garantire maggiore sicurezza alle donne, questo ha aperto la strada a una serie di abusi e sfruttamento. I bordelli ora impongono tariffe sempre più alte alle lavoratrici del sesso, aggiungendo tasse e multe che erodono i loro guadagni. Il sistema del “tutto compreso” li costringe a offrire servizi sessuali più invasivi per meno soldi, senza alcuna voce in capitolo sulle tariffe o sulle prestazioni.

Le donne nella prostituzione, indipendentemente dal contesto in cui lavorano, si trovano a dover affrontare richieste sempre più estreme dei clienti, spesso senza alcun controllo sui propri confini fisici o sessuali. Le violenze subite dai clienti o dai proprietari dei bordelli spesso vanno impunite, poiché la paura di danneggiare il business impedisce alle donne di denunciare tali abusi alla polizia.

Inoltre, la promessa di maggiore autonomia economica e legale per le lavoratrici del sesso è rimasta largamente inattuata. Sebbene il modello neozelandese di decriminalizzazione totale abbia eliminato la criminalizzazione delle prostitute stesse, non ha fornito loro alcun supporto per accedere ai diritti lavorativi e sociali fondamentali. Le lavoratrici del sesso sono considerate libere professioniste, ma senza alcuna delle libertà e delle protezioni tipiche di tale status. Sono soggette a tasse e spese senza poter influenzare le tariffe o le condizioni di lavoro.

Il cosiddetto “New Zealand Prostitutes Collective” offre poco più di un supporto superficiale, senza rappresentare realmente gli interessi delle lavoratrici del sesso o fornire un reale supporto legale o economico.

Inoltre, l’idea che la decriminalizzazione totale avrebbe portato a maggiori entrate fiscali è un mito. La mancanza di regolamentazione fiscale effettiva significa che i profitti derivanti dalla prostituzione non contribuiscono significativamente alle casse dello stato, mentre le lavoratrici del sesso sono ancora gravate da tasse e spese.

La decriminalizzazione totale in Nuova Zelanda non ha fornito la libertà e la sicurezza promesse alle donne nella prostituzione. Al contrario, ha creato un ambiente in cui le lavoratrici del sesso sono più vulnerabili che mai, sottoposte a sfruttamento economico e sessuale senza alcuna protezione reale. Per creare un sistema vero e proprio di autonomia e sicurezza per le donne nel mercato del sesso, è necessario riconsiderare il modello di decriminalizzazione totale e adottare politiche che criminalizzino papponi e clienti e proteggano le lavoratrici del sesso. Nel cuore del mercato del sesso neozelandese risuona una voce singolare: quella del New Zealand Prostitutes Collective (NZPC). Ma dietro questa facciata di rappresentanza femminile si nasconde una realtà distorta, dove le voci delle vere vittime sono soffocate sotto il peso dell’oppressione.

Il NZPC, auto-proclamatosi portavoce delle lavoratrici sessuali, non rappresenta in alcun modo la diversità e la complessità del mercato del sesso. Non esiste alcun requisito di esperienza recente nel campo della prostituzione per farne parte, lasciando così spazio a una leadership distorta e fuorviante. Coloro che guidano questo cosiddetto “collettivo” sono spesso gli stessi che lucrano sulla miseria e la vulnerabilità delle donne, appartenenti a quella rete di sfruttamento notoriamente conosciuta come gli “Ombrelli Rossi” (gruppo presente anche in Italia).

Al momento, il NZPC si batte per l’abolizione della Sezione 19 del Prostitution Reform Act 2003, un movimento che, paradossalmente, porterebbe alla completa decriminalizzazione del traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale in Nuova Zelanda. Ma dietro questa facciata di riforma si cela una realtà oscura: tale abolizione favorirebbe i terzi che traggono profitto dall’oppressione delle donne, a discapito delle vere vittime.

La Sezione 19 attuale, sebbene gravemente difettosa, rappresenta l’unico baluardo contro la schiavitù sessuale. Le donne straniere vengono regolarmente perseguitate e deportate in base a questa legge, senza alcuna considerazione per il fatto che possano essere vittime di traffico umano. Il NZPC e coloro che lo sostengono sembrano ignorare deliberatamente questa realtà, focalizzandosi esclusivamente sull’interesse dei loro stessi guadagni.

La soluzione proposta non è l’abolizione della Sezione 19, ma un approccio completo e compassionevole per proteggere le vere vittime della tratta di esseri umani. Case rifugio sicure, servizi di traduzione, assistenza medica e legale, e percorsi per l’integrazione lavorativa e sociale dovrebbero essere offerti alle vittime, garantendo loro una via d’uscita dalla trappola della schiavitù sessuale.

È giunto il momento di ascoltare veramente le voci delle donne vulnerabili, anziché permettere ai profittatori di manipolare il dibattito pubblico a proprio vantaggio. Il potere maschile prosseneta non può più essere tollerato come scusa per l’oppressione delle donne. È solo attraverso un impegno autentico per la giustizia e l’uguaglianza che possiamo sperare di creare un mondo dove le donne possano godere del rispetto e della dignità che meritano, senza paura di essere ridotte in schiavitù.

L’abolizionismo non significa proibizionismo, ma piuttosto la difesa dei diritti umani delle donne, rifiutando l’idea che la prostituzione possa essere considerata un lavoro come gli altri. La lotta contro lo sfruttamento sessuale richiede un approccio che affronti le radici strutturali della violenza di genere e dell’ingiustizia sociale. La sinistra dovrebbe essere sfidata sul concetto che la prostituzione e il cosiddetto “lavoro sessuale” siano progressisti e liberatori. La mercificazione dei corpi umani, in particolare dei corpi femminili, è un’indicazione dell’aspetto più insidioso del capitalismo, dove tutto diventa oggetto di scambio e la domanda guida l’offerta, reificando e alienando globalmente la persona prostituita.

Esiste un dibattito acceso tra chi, come Elizabeth Nolan Brown, considera la prostituzione semplicemente un lavoro come un altro e chi la vede come un disgustoso sfruttamento dei corpi delle donne e delle ragazze. Mentre Brown sostiene che la prostituzione sia una scelta liberatoria, si ribadisce che è una cultura di misoginia che porta gli uomini a credere che possano comprare il corpo delle donne per il proprio piacere sessuale.

Mentre la sinistra liberale sostiene la decriminalizzazione generale della prostituzione, sto dimostrando come ciò porti a un aumento del commercio sessuale e della violenza contro le donne in paesi come Germania, Australia e Paesi Bassi.

Infine, analizziamo l’impatto socioeconomico della prostituzione sulla società nel suo complesso. Contrariamente alla narrativa diffusa che dipinge la prostituzione come un lavoro come un altro, i dati dimostrano che la maggior parte delle persone coinvolte nella prostituzione vive in condizioni di povertà estrema e ha poche alternative realistiche. Inoltre, la prostituzione alimenta l’economia illegale, connessa a crimine organizzato, traffico di droga e altre attività illegali.

Di fronte a queste evidenze schiaccianti, è chiaro che il femminismo abolizionista è l’ unica alternativa realistica e concreta, fondamentale nella lotta contro la criminale cultura prostituente. Proprio come il movimento abolizionista del XIX secolo ha combattuto contro la schiavitù, il femminismo abolizionista oggi si batte per la dignità, l’uguaglianza e i diritti delle persone coinvolte nella prostituzione.

Per quanto concerne un’ analisi critica delle leggi sulla prostituzione nel Regno Unito, concentrandosi sulle carenze dell’attuale approccio legislativo e esplorando la potenzialità di adottare un nuovo modello, come quello nordico, che criminalizza l’acquisto di sesso ma non la sua vendita. I dati suggeriscono che nel Regno Unito circa 72.800 persone si prostituiscono, di cui circa il 88% sono donne, con una stima di 32.000 prostitute attive a Londra. Sebbene esistano anche prostituti maschi, la maggioranza delle persone coinvolte nel settore sono donne, e quindi il focus dell’analisi si concentra sulla loro sfruttamento. Storicamente, il Regno Unito ha affrontato la prostituzione come un problema di ordine pubblico, mirando a rimuovere la prostituzione dalla vista pubblica criminalizzando le attività ad essa associate. Tuttavia, questo approccio è stato criticato per la sua inefficacia e confusione. Prima dell’introduzione del Sexual Offences Act 2003, il Regno Unito aveva una definizione di prostituzione basata sulla Common Law, che si estendeva oltre l’atto del sesso vaginale e includeva anche atti di “lascivia”. La legislazione successiva ha introdotto una definizione standard di prostituta come una persona che “offre o fornisce servizi sessuali in cambio di pagamento”. Le leggi sullo sfruttamento sessuale nel Regno Unito si sono concentrate sulla riduzione del disturbo pubblico, con l’implementazione di leggi come il Street Offences Act 1959, che proibisce l’ adescamento in luoghi pubblici. La giurisprudenza ha stabilito che anche se una prostituta non si trova direttamente in strada, ma rivolge la sua attenzione ai passanti, ciò costituisce un disturbo pubblico.

In conclusione, il mio articolo suggerisce che, nonostante le diverse legislazioni, la prostituzione continuerà ad esistere indipendentemente dal sistema legislativo adottato. Tuttavia, l’ approccio più efficace (tra i vari metodi adottati, attraverso i secoli) sembrerebbe essere proprio il modello abolizionista e, persino l’ UK, si propone di esaminare il modello nordico, come possibile alternativa, basato sulla criminalizzazione dell’acquisto di sesso, allo scopo di proteggere le persone coinvolte nella prostituzione, in particolare le donne, dall’esposizione a sfruttamento e violenza. Le politiche abolizioniste, come la criminalizzazione dell’acquisto di sesso e l’offerta di alternative concrete e supporto alle persone coinvolte nella prostituzione, sono passi cruciali verso la creazione di una società più giusta e inclusiva per tutti. Gli abolizionisti femministi promuovono con fermezza il “modello svedese” per porre fine alla tratta sessuale e alla prostituzione, comprendendo politiche di assistenza sociale, campagne di sensibilizzazione e riforme giuridiche. Questa visione si basa sul riconoscimento universale che la maggior parte delle vittime della tratta sono donne o ragazze e che la prostituzione perpetua l’ineguaglianza patriarcale.

Contrariamente alle posizioni conservatrici e reazionarie, l’abolizionismo femminista considera la prostituzione come dannosa per le donne e parte integrante della struttura patriarcale, perseguendo quindi l’abolizione del traffico sessuale e della prostituzione.

Gli abolizionisti femministi sostengono la criminalizzazione dell’acquisto di sesso come parte di un approccio completo per fermare il traffico sessuale, basandosi sulla responsabilità dell’acquirente nel contribuire alla tratta e al controllo violento delle persone prostituite. L’argomento del pericolo evidenzia che l’atto di acquistare sesso da una persona costretta o minacciata equivale a infliggere direttamente danni, simili a quelli di uno stupro o di un’aggressione sessuale. Nel tessuto della nostra società, la prostituzione continua a gettare un’ombra oscura sulla dignità e l’autonomia delle donne. Attraverso le voci di attiviste femministe e sopravvissute alla prostituzione, emergono storie di oppressione, sfruttamento e violenza che gridano all’unisono: la prostituzione non è lavoro, ma una manifestazione estrema della violenza patriarcale.

Molte di noi che lottano contro la prostituzione hanno sperimentato direttamente le conseguenze devastanti di questa industria. Spinte dalla precarietà economica e dalla disoccupazione, molte donne si trovano senza alternative, costrette a vendere il proprio corpo per sopravvivere. Tuttavia, questa non è una scelta vera e propria, ma una costrizione inflitta dalla mancanza di opportunità e dalla discriminazione sistemica.

Contrariamente alla retorica del pensiero neoliberista, che cerca di normalizzare la prostituzione come un “lavoro come un altro”, rifiutiamo categoricamente questo concetto. Chi difende la prostituzione non la vivrebbe mai, né la accetterebbe per le proprie figlie o partner (e qui è l’ ipocrisia e la malafede più grande: nessun fautore del movimento prostituente desidera ciò per la propria figliola). Eppure, paradossalmente, questa stessa industria viene proposta come una “possibilità lavorativa” per le donne più vulnerabili, condannandole a subire violenze e abusi fisici ed emotivi.

In paesi come la Germania e la Nuova Zelanda, dove la prostituzione è stata regolamentata o decriminalizzata, le conseguenze nefaste ormai sono evidenti. Le donne costrette alla prostituzione sono considerate merce, soggette al controllo e allo sfruttamento dei papponi d’affari che monopolizzano l’industria del sesso. Le stesse istituzioni che dovrebbero proteggere le donne diventano complici di questa violenza, normalizzando lo sfruttamento sessuale attraverso politiche sbagliate e inadeguate.

L’uso del termine “lavoro sessuale” è fuorviante e offensivo. La prostituzione è un sistema intrinsecamente misogino, che prospera sull’odio verso i corpi e la sessualità delle donne. Le storie di abusi, dipendenza da droghe e alcol, e povertà che emergono dalle testimonianze delle sopravvissute sono un richiamo all’urgenza di agire contro questa forma estrema di violenza di genere.

Sosteniamo fermamente il modello nordico o abolizionista, che si è dimostrato l’ unico veramente efficace nel proteggere i diritti umani delle persone prostituite. Questo modello non solo depenalizza coloro che si trovano nel mercato del sesso (sia ben inteso: prostituirsi NON è un reato per gli abolizionisti), ma offre anche programmi di uscita che garantiscono un’alternativa dignitosa e supporto psico-sanitario gratuito per coloro che desiderano lasciare la prostituzione.

L’associazione AMMAR, ospitata in passato dalla Cgil, deve essere scrutata con occhio critico. Troppo spesso, in Argentina, si sono verificati scandali legati ai loro dirigenti (spesso indagati e processati o messi sotto inchiesta) che hanno apertamente sfruttato e abusato delle donne coinvolte nell’industria del sesso. Questi “incidenti” (tra l’ altro, piuttosto frequenti) rivelano la corruzione e la violenza intrinseche all’industria del sesso, che non può essere ignorata o giustificata.

Mentre alcuni politici suggeriscono di ripristinare le case chiuse e di normalizzare ulteriormente la prostituzione, noi resistiamo. Dobbiamo fermare il progetto di trasformare l’Italia in uno stato pappone, dove le donne sono considerate poco più che oggetti da comprare e vendere.

In questo momento critico, dobbiamo ascoltare le voci delle persone più vulnerabili, che hanno subito le conseguenze devastanti della prostituzione. Solo attraverso la solidarietà e l’azione collettiva possiamo costruire un mondo più giusto, libero dalla violenza maschile sulle donne e dalle catene dell’industria del sesso.

In sintesi, l’abolizionismo femminista combatte la tratta sessuale e la prostituzione come ingranaggi di un sistema patriarcalista (ovvero che emargina ed opprime le donne) dannoso, sostenendo la criminalizzazione dell’acquisto di sesso come parte di un impegno più ampio per garantire un mondo senza sfruttamento e discriminazione.

Esistono, naturalmente, argomenti che possono essere offerti a favore della criminalizzazione dell’acquisto di sesso unicamente per motivi della sua moralità sbagliata, o perché tale condotta causa danni a qualcuno o a qualcos’altro rispetto alle persone prostituite, ma questi non sono gli argomenti in esame qui. Piuttosto, il punto della criminalizzazione dell’acquisto di sesso, secondo l’argomento della complicità e l’argomento del pericolo, è quello di prevenire danni agli altri, specificamente, alle persone prostituite. Basandomi su dati empirici e statistiche, sostengo con fermezza il femminismo abolizionista nella sua lotta contro la cultura prostituente. È giunto il momento di agire con determinazione per proteggere le persone più vulnerabili della nostra società e creare un futuro in cui la dignità e i diritti di tutti siano rispettati e difesi.

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Combattere la tratta e la retorica prostituente

Raccogliamo e pubblichiamo volentieri una riflessione profonda e strutturata di Maddalena Celano, docente, attivista e studiosa, femminista abolizionista, autrice di diversi articoli e saggi sul tema della lotta alla tratta e alla prostituzione. 

A Favore dell’Abolizionismo Femminista contro il movimento prostituente e l’ industria prostituente

Parte I

Quando si parla di tratta, è importante considerare le reali implicazioni di questa pratica e le cifre impressionanti che riguardano la violenza e lo sfruttamento delle persone coinvolte. Prima di tutto, i dati raccolti in diversi paesi del mondo evidenziano una realtà estremamente inquietante: la netta e stragrande maggioranza delle persone coinvolte nella prostituzione subisce violenza fisica e sessuale, spesso perpetrata proprio dai clienti o/e dai gestori dei bordelli e, sempre più spesso, si tratta proprio dei bordelli reclamizzati e legalizzati per via delle pressioni “sexworkiste” del movimento prostituente. Studi condotti dalle Nazioni Unite hanno rilevato che, in alcuni paesi europei, fino al 99% delle persone coinvolte nella prostituzione ha subito violenza, anche e soprattutto all’ interno dei postriboli legalizzati. Questi dati sono indicativi della natura intrinsecamente violenta della cultura prostituente e sottolineano l’urgente necessità di proteggere le persone coinvolte da tali abusi. In secondo luogo, è fondamentale considerare le conseguenze devastanti che la prostituzione porta sulle persone coinvolte, in particolare sulle donne e sui giovani. L’Europa si trova di fronte a una cruda realtà: tra le sue strade si aggirano tra 70.000 e 140.000 individui, vittime di traffico umano, con l’84% di essi destinati allo sfruttamento sessuale. Questa è una vergogna che non può essere ignorata né tollerata. È un’ingiustizia profonda che grida vendetta contro un sistema che permette all’industria della prostituzione di prosperare, alimentando i desideri dei clienti a spese delle vite e della dignità delle donne.

Non possiamo più accettare il dogma della liberalizzazione, che in molti Paesi europei ha aperto le porte all’orrore anziché chiuderle. Il Consiglio d’Europa ha chiaramente indicato la via giusta nel 2014, quando ha invitato tutti i suoi membri ad abbracciare l’abolizionismo. Questo non è solo un invito, ma un dovere morale, una chiamata all’azione per smantellare le strutture che alimentano questa forma moderna di schiavitù. Dobbiamo guardare alla Germania, che ha legalizzato la prostituzione più di vent’anni fa sperando di proteggere le donne. Ma cosa ha ottenuto? Soltanto una proliferazione della criminalità organizzata, con le donne ridotte a merce e gli sfruttatori normalizzati come normali “datori di lavoro” e normali “imprenditori” (molti di loro sono legati alla ndrangheta italiana: è stata proprio la mafia calabrese ad acquistare i quartieri a luci rosse ed ora è essa stessa a gestirli). La giornalista britannica Julie Bindel, con la sua indagine esaustiva sulla prostituzione, ha rivelato la brutale realtà dietro l’apparenza di normalità. Le donne coinvolte sono spesso vittime di violenze, costrette a subire rapporti non desiderati e a sopportare anni di abusi fisici e psicologici.

Non possiamo voltare le spalle a queste donne, né alzare le mani in segno di resa di fronte a un sistema che le sfrutta senza pietà. La prostituzione non è una scelta libera, bensì un riflesso dei fallimenti della nostra società nel proteggere i suoi membri più vulnerabili. Non possiamo chiamarla lavoro, non possiamo accettare che il corpo umano sia trattato come una merce da vendere al miglior offerente. Infatti, Rachel Moran, ex vittima della prostituzione “volontaria” (ex escort di lusso) rispose, durante un’ intervista, ad un membro del movimento prostituente che paragonava la prostituzione all’ esercizio dell’ attività di cameriera al McDonald’s: la cameriera del McDonald’s vende l’ hamburger, nel caso della prostituzione, invece, tu sei l’ hamburger.

L’Italia, con la sua Corte Costituzionale, ha posto un faro sulla strada da seguire, affermando chiaramente che la prostituzione non può essere considerata lavoro. È un’attività che degrada la dignità umana e alimenta un mercato basato sull’oppressione e lo sfruttamento. Non possiamo permettere che milioni di clienti alimentino questo ciclo di violenza e miseria, mentre la criminalità organizzata fa incetta di profitti proprio grazie ai movimenti prostituenti e alle loro pressioni ideologiche e politiche su partiti e media popolari.

Dobbiamo essere chiari nel nostro messaggio: la libertà sessuale non può esistere senza il rispetto del consenso e della dignità umana. L’acquisto di sesso non desiderato non è libertà, ma oppressione; non è piacere, ma violenza. Il famigerato “consenso” all’ atto sessuale non può essere acquistato con il denaro giacché il desiderio sessuale c’è o non c’è. In caso contrario, si tratta di “mero stupro monetario” a cui, sia ben inteso, una vittima può cedere e tollerare (per mera necessità). Dobbiamo smettere di nasconderci dietro l’illusione che la legalizzazione possa risolvere il problema dello stigma sociale. Come ha sottolineato la filosofa Luisa Muraro, non sarà certamente una legge a cancellare l’oppressione.

Per concludere, dobbiamo chiederci: cosa c’è di progressista nel perpetuare un sistema che sfrutta e degrada le donne? È tempo di alzare la voce e combattere per un mondo in cui ogni individuo sia libero dalla schiavitù e dallo sfruttamento. È tempo di abolire la prostituzione. Le ricerche dimostrano che coloro che si trovano coinvolti nella prostituzione hanno maggiori probabilità di sviluppare problemi di salute mentale, dipendenze da sostanze e di essere vittime di traffico umano. Inoltre, molte donne coinvolte nella prostituzione sono madri single che lottano per sostenere sé stesse e le proprie famiglie, spesso senza accesso a servizi sociali o assistenza sanitaria adeguata. Di fronte a queste evidenze, l’approccio abolizionista alla prostituzione si presenta come unica risposta necessaria e urgente. L’abolizione della prostituzione non solo proteggerebbe le persone coinvolte dalla violenza e dallo sfruttamento, ma è l’ unica prospettiva che offrirebbe loro opportunità di uscire da situazioni di precarietà e vulnerabilità, garantendo loro accesso a servizi di sostegno e alternative lavorative più sicure e dignitose.

In conclusione, mentre alcuni possono tentare di normalizzare la prostituzione come lavoro, è importante riconoscere la sua intrinseca violenza e le sue devastanti conseguenze su tutte le persone coinvolte. L’abolizionismo rappresenta una risposta etica e compassionevole a questa realtà, promuovendo la protezione e il benessere delle persone coinvolte; anziché il loro sfruttamento e la loro oppressione. Negli ultimi decenni, il movimento femminista abolizionista ha sollevato con forza la sua voce contro la cultura prostituente, sottolineando i danni inflitti alle donne coinvolte e la necessità di adottare misure decisive nel contrastarla. Basandoci su dati e statistiche empiriche, è evidente che l’abolizionismo femminista non solo è giustificato, ma è anche l’ imperativo morale e sociale in grado di contrastare seriamente questa piaga. Prima di tutto, bisogna sempre tener presente le cifre impressionanti riguardanti la violenza e lo sfruttamento delle persone coinvolte nella prostituzione.

È facile non notare i danni della prostituzione se non li guardiamo direttamente. La maggior parte delle persone che non sono direttamente coinvolte nell’industria del sesso hanno una conoscenza limitata di ciò che accade al suo interno. Dobbiamo chiederci onestamente quali sono le implicazioni della normalizzazione della prostituzione. Non è accettabile dire semplicemente: “Non ne sono influenzato personalmente e ci sono cose più importanti su cui concentrarci”. Quando scopriamo gravi violazioni dei diritti umani, come nel caso della prostituzione, è nostra responsabilità fare qualcosa al riguardo. Se diamo uno sguardo onesto alla situazione della Germania, è chiaro che la realtà ha decisamente oltrepassato quelli che potevano essere le buone intenzioni della legalizzazione della prostituzione.

Il Bundestag (il Parlamento tedesco) ha approvato nel 2001 la legge sulla prostituzione, grazie ai voti dei socialdemocratici e dei verdi, allora al Governo in una coalizione guidata dal cancelliere Gerhard Schröder. La misura sulla regolamentazione del sesso a pagamento entrò in vigore il 1° gennaio 2002 (proprio lo stesso giorno dell’Euro). Nei loro sforzi per screditare il modello nordico (modello abolizionista tra i più intransigenti), gli oppositori affermano che in Svezia la prostituzione non è in realtà diminuita, ma invece è diventata “clandestina”. Questo, ovviamente, non è vero. Le forze dell’ordine e gli assistenti sociali in Svezia, dove il modello nordico è in atto da oltre un decennio, affermano di non avere problemi a scovare reti di prostituzione e clienti; l’unico problema è trovare le risorse per affrontare queste situazioni.” (fonte: Redazione Documentazione.info)

La legalizzazione della prostituzione non è riuscita a fermare il traffico di esseri umani e ora molti Paesi, tra cui l’Italia, puntano al “modello nordico”, un insieme di norme promosso dall’Unione europea già nel 2004, quando aveva evidenziato il fallimento del modello regolamentarista.

Nel corso degli anni, sempre più segnali hanno sancito la necessità di un cambiamento di rotta: nel 2007 lo studio “Daalder” ha spinto il Governo olandese al graduale smantellamento dei quartieri a luci rosse creati nel 2000, anno in cui era stato abolito il divieto sulle “case chiuse”. Più recentemente, una lettera di un’ex prostituta tedesca ha portato alla luce le crepe strutturali della decisione della Germania di legalizzare la prostituzione. Attualmente, i dati più aggiornati risalgono al Rapporto Eurostat del 2015 e confermano quelli del rapporto precedente: i Paesi che hanno deciso di legalizzare la prostituzione non hanno registrato alcun calo dei casi di sfruttamento (se mai solo un repentino aumento dello stesso).

Ma il traffico di esseri umani non riguarda solo l’Europa: esso è un fenomeno globale che coinvolge 42 milioni di persone e con 186 miliardi di dollari l’anno rappresenta una delle principali miniere d’oro per la criminalità organizzata. La sua portata è talmente estesa da far sì che l’UE nella sua ultima proposta di risoluzione, parli esplicitamente di violazione di diritti umani. È quindi naturale che sia influenzato dalle diverse politiche legislative messe in atto dai Governi. Appare dunque fondamentale l’adozione di una normativa comune e la creazione di “banche dati centralizzate”, in grado di fornire informazioni attendibili sullo sviluppo del fenomeno. Tutto questo ha spinto Paesi come la Francia, l’Inghilterra ma anche Stati non europei come il Canada a ripensare le proprie politiche nazionali in merito al traffico di esseri umani. Il “modello nordico”, perché vigente nei Paesi del Nord Europa (Svezia, Norvegia, Islanda e Irlanda del Nord) è rivoluzionario: esso prevede delle sanzioni nei confronti dei clienti dell’industria sessuale e dove applicato, ha prodotto una flessione dei casi di sfruttamento. Tra i Paesi che stanno riconsiderando la propria posizione vi è anche l’Italia, dove a novembre del 2016 è stato presentato un disegno di legge per l’entrata in vigore del modello nordico nel nostro Paese” (fonte Redazione: Documentazione.info). La dottoressa tedesca Ingeborg Kraus, psico-traumatologa di fama internazionale, attiva nella Società Tedesca sul Trauma e la Dissociazione e la Società Europea per la sindrome da stress post traumatico, ha pubblicato numerosi articoli in particolare sulla sindrome da stress post-traumatico, il trauma bonding e sul trauma come fattore d’ingresso nella prostituzione e tiene conferenze su questo tema in vari paesi mondiali. In seguito all’indifferenza dimostrata dalla comunità internazionale, durante la Guerra nell’ex Jugoslavia, non ha voluto restare inerte e ha deciso invece di rendersi utile. È stata impegnata sul fronte umanitario dal 1994 fino al 2003 in Bosnia e nel Kosovo. Una volta rientrata in Germania ha lavorato in varie cliniche di salute mentale specializzate in psicosomatica e dipendenze. Dal 2012 ha aperto uno studio di counselling psicoterapeutico a Karlsruhe. Ha curato più di 1000 donne, tra queste, molte vittime di prostituzione. Nel 2007 ha co-fondato un gruppo all’interno del partito dei Verdi contro la prostituzione (Grüne Prostitutionskritikerinnen). Nel 2013 ha iniziato una massiccia campagna per mettere fine alla prostituzione in Germania inclusa una petizione rivolta a tutti i partiti politici che ha avuto successo. Nel 2014 ha esteso la sua battaglia per la causa all’ambito medico. Grazie al suo impegno la Dott.ssa Kraus ha creato una rete di scienziati e esperti nell’ambito medico (https://www.trauma-and-prostitution.eu/en/the-appeal/) che hanno unito i loro sforzi producendo ricerche, pubblicando e facendo formazione sulla dura realtà della prostituzione e le conseguenze sulla salute delle persone e della società. Ha tenuto lezioni e corsi su questo tema a livello mondiale, è intervenuta in diversi parlamenti più volte, dall’Assemblée Nationale di Parigi, a l’ENA di Strasburgo, alla Camera dei Deputati e del Senato a Roma, al Palaco de Cibeles a Madrid, al CSW di New York e nel Parlamento Tedesco. La maggioranza delle persone che si rivolgono a lei sono donne. Il tema del “trauma-bonding” è pane quotidiano nel suo approccio terapeutico, affligge le donne di qualsiasi provenienza e classe sociale. Nel 2009 ha scritto il suo primo articolo sulla sua esperienza clinica con le donne in prostituzione nel quale ha spiegato la connessione tra un trauma precedente e l’ingresso nella prostituzione. Questo perché: un’autostima compromessa favorisce l’entrata. Anche gli Stati che considerano la prostituzione un lavoro come un altro rispecchiano nelle loro strutture sociali l’ideologia del perpetratore e creano un trauma bonding collettivo. L’attivista per i diritti delle donne scomparsa di recente, Nawal al-Saadawi, ha giustamente affermato che la liberazione delle donne deve avvenire anche a livello psicologico. Perché quando le donne si liberano a livello mentale dai loro oppressori questi non hanno più alcun potere su di loro. La lobby pro-sfruttamento, incarnata da organizzazioni come AMMAR e Retrasex, promuove attivamente la prostituzione come lavoro, influenzando l’opinione pubblica e i media.

La Spagna, in particolare, è diventata un nodo cruciale per il turismo sessuale globale, con l’apertura di sedi di fondazioni come quella di George Soros, che sostengono la legalizzazione della prostituzione a livello mondiale. Questa lobby opera attraverso sindacati falsi e organizzazioni che difendono la prostituzione come scelta autonoma, ignorando le reali dinamiche di sfruttamento e tratta. Retrasex, ad esempio, manipola il concetto di tratta, definendo vittime solo coloro che rispondono a uno specifico stereotipo, escludendo molte altre forme di sfruttamento. Le donne vengono forzate a firmare contratti che affermano di esercitare la prostituzione in modo autonomo, nascondendo così lo sfruttamento e rendendo difficile per le autorità intervenire.

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Una vittoria importante a livello europeo

Il Parlamento Europeo invita gli Stati membri ad attuare tutte le componenti del modello abolizionista sulla prostituzione!

Siamo lieti di condividere questo comunicato stampa scritto da CAP International, una coalizione di cui IROKO fa parte, che spiega la recente vittoria al Parlamento europeo.

Il Rapporto adottato dal Parlamento Europeo che richiede a gran voce l’adozione del modello abolizionista in tutti gli Stati membri si adatta perfettamente al contesto italiano ove, a causa dei persistenti flussi migratori in arrivo soprattutto dal continente africano, la tratta di persone a scopo di sfruttamento sessuale continua a essere un fenomeno endemico che tende a radicalizzarsi sul territorio.

L’introduzione in Italia di un modello abolizionista a tutto tondo che preveda la criminalizzazione di chi acquista una prestazione sessuale e percorsi di fuoriuscita dal circuito della prostituzione per le donne coinvolte, significherebbe non solo mettere in atto una concreta azione di contrasto al racket della tratta di esseri umani ma anche sancire in modo netto l’inviolabilità del corpo della donna. Significa scrivere la parola fine al sistema prostituente che è un sistema alimentato da disuguaglianze sociali, situazioni di sfruttamento e che si basa sulla disparità di diritti tra uomini e donne.

Il movimento abolizionista italiano, pertanto, continuerà ad impegnarsi affinchè il nostro Stato attui in toto le raccomandazioni espresse dal Parlamento europeo e persevererà nel portare avanti il principio secondo cui la prostituzione non può essere considerata una attività economica in quanto lesiva della dignità dell’essere umano.


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Libertà, corpo, mercato: dialogo con Valentina Pazé

Sabato 24 giugno, a Bergamo, la libreria Incrocio Quarenghi ha ospitato la presentazione del libro Libertà in vendita – Il corpo fra scelta e mercato, di Valentina Pazé. Docente universitaria di Filosofia politica, Valentina ha dialogato con Chiara Parolin, avvocata, esperta in Diritto di famiglia e migrazione e co-presidente del Network europeo ENOMW, e Nica Mammì, giornalista e docente, referente dell’Associazione IROKO. 

Prostituzione, maternità surrogata e uso del velo sono i grandi temi attorno a cui ruotano le riflessioni dell’autrice, in relazione all’espressione della libertà e all’uso del corpo delle donne. 

I corpi, in particolare quelli delle donne, continuano ad essere territori contesi, frontiere politiche, continuamente soggetti a limitazioni legislative e culturali, ma soprattutto alle leggi del mercato, dove per libertà si intende unicamente quella individuale, da preservare a tutti i costi, anche quando entra in contrasto con l’utilità collettiva.
Da una parte si celebra la libertà come valore supremo, eppure dall’altra si tende alla mercificazione del corpo. 

Quale libertà, dunque, sui corpi delle donne?

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Presentazione del libro Libertà in vendita

Libertà in vendita, il 24 giugno a Bergamo
Il 24 giugno abbiamo il piacere di presentare il libro Libertà in vendita – Il corpo fra scelta e mercato, di Valentina Pazé, edito da Bollati Boringhieri (2023).

Il saggio sarà presentato presso la libreria Incrocio Quarenghi di Bergamo, in collaborazione con l’Associazione IROKO con mediazione di Chiara Parolin, sabato 24 giugno alle 17.30.

Prostituzione, maternità surrogata e uso del velo nell’Islam: che cosa li accomuna? Questo è l’interrogativo da cui parte la professoressa Pazé, docente di Filosofia politica presso l’Università di Torino, prendendo in prestito dalla filosofia, da Platone a Kant, le categorie per inquadrare il tema così sfuggente della libertà.

Tutti e tre i temi proposti presentano come principale oggetto di analisi il corpo delle donne: strumento di autodeterminazione e libertà o semplicemente merce all’interno di un mercato neoliberista? L’intimità sessuale e riproduttiva può essere messa in vendita? Se sì, siamo in grado di preservare davvero la nostra intima libertà? Basta un contratto?

L’iniziativa sarà un’importante occasione di confronto su temi complessi quanto attuali.

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Thailandia: convegno in Grecia sulla tratta di esseri umani

L’8 maggio 2023 l’Ambasciata Reale di Thailandia ad Atene ha dato il benvenuto alla delegazione del Dipartimento Investigativo Speciale (DSI), del Ministero della Giustizia thailandese, guidato dal Maggiore della Polizia, Siriwish Chantechasitkul, Direttore dell’Ufficio Crimini per Tratta di Persone. La delegazione era in visita in Grecia per partecipare al workshop “Integrated for Human Trafficking in Europe.” C’è stato un proficuo scambio di vedute su procedimenti penali e prevenzione dei crimini legati alla tratta di esseri umani, come anche sulla protezione dei cittadini thailandesi in Grecia per una futura collaborazione e un coordinamento inter-agenzie.

Nel workshop “Integrated for Human Trafficking in Europe”, organizzato dalla rete DSI in Europa il 7 maggio, Pornsith Pibulnakarintr, responsabile Affari, Ambasciata Reale Thailandese, ha presentato nel suo discorso di apertura il ruolo del ‘Ministero degli Affari Esteri’ nell’ Assistenza ai Casi di Tratta di esseri umani’.

Hanno partecipato al workshop circa 50 volontari del Dipartimento Investigativo Speciale provenienti da diversi paesi europei.

Il seminario e i workshops sul tema della tratta di esseri umani e sulla relativa legislazione del network europeo DSI hanno visto la partecipazione di membri thailandesi provenienti da 12 paesi: Thailandia, Austria, Belgio, Francia, Germania, Grecia, Italia, Olanda, Norvegia, Slovenia, Spagna e Svizzera.

Il seminario si è tenuto presso il Museo della Guerra di Grecia e l’Ambasciatore ha tenuto il suo discorso nella sessione di apertura per sensibilizzare i partecipanti. Tra i relatori erano presenti altre figure qualificate, tra cui
il Maggiore Siriwit Chantechasitkul, Direttore della sezione contenziosi su tratta di esseri umani;
Ms. Natthaphon Bunyakorn, 
Direttore della Rete Prevenzione del Crimine;
Kanoklada Charoensiri, Direttrice della Divisione ispettiva 2, Tecnologia e del Centro Divisione verifica e informazione;
Paphawin Manyawut, funzionario Indagini Casi Speciali, vicedirettore Sezione contenziosi Tratta di esseri umani;
Thanaphong Worasiha, investigatrice speciale;
Wirawan Mosby, Presidente di The Hug Project, Thailandia,
 
Esohe Aghatise, Iroko Onlus, Italia.

La nostra direttrice Esohe Aghatise ha parlato di tratta e prostituzione e ha spiegato perché sarebbe disastroso se la Thailandia approvasse il modello tedesco o olandese sulla prostituzione. 




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Anatomia di un suicidio – per Adelina Sejdini

Ricordare Adelina, per tutte noi, non è semplice. C’è come un blocco dettato da un pudore, misto a dolore, per la perdita di una donna che, forse, non abbiamo saputo aiutare fino in fondo. 
Una donna che le istituzioni italiane hanno dimenticato. 
Chiedeva la cittadinanza italiana, dopo oltre venti anni di vita in Italia, una parte della quale vissuta disgraziatamente nella prostituzione, dopo che era stata rapita in Albania, violentata e trafficata nel nostro paese. E dopo che aveva coraggiosamente denunciato e fatto arrestare i suoi sfruttatori.
Non ha ottenuto la cittadinanza, stava vivendo un lungo e difficile periodo per la sua salute, quando nel novembre 2021 si è suicidata a Roma. 

In questa vicenda siamo tutti responsabili.
Per questo una riflessione è doverosa da parte di tutti.
Maddalena Celano, studiosa, docente, femminista abolizionista e nostra cara compagna di lotta, ha da poco pubblicato il libro ANATOMIA DI UN SUICIDIO – Adelina Sejdini una voce per le donne, scritto a quattro mani con Mario Gianfrate, storico, scrittore e già docente, ed edito da Porto Seguro
Con questo saggio gli  autori contribuiscono a rimettere insieme i tasselli della vita di Adelina, ci aiutano a riflettere sul valore della sua vita, non solo da un punto di vista morale, ma anche per il suo significato politico e civile: la lotta alla tratta era diventata la sua ragione di vita, come pure la richiesta di essere riconosciuta come cittadina italiana. 

Vogliamo ringraziare Maddalena per aver speso il suo tempo e le sue energie a raccogliere queste preziose riflessioni. 
A marzo si è tenuta a Roma un’anteprima della presentazione del libro, organizzata dalla casa editrice, ma ci auguriamo di poter presto partecipare e di poter organizzare incontri di promozione del lavoro e della storia di Adelina.
Ringraziamo di cuore anche la nostra presidente Esohe Aghatise e la cara amica e nostra collaboratrice Chiara Parolin, avvocata e attivista per le donne, per aver donato il loro contributo di riflessione al saggio. 

In basso un breve trailer di presentazione del libro.

 

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DICK PICS 101: RICONOSCERE IL CAZZO

DICK PICS 101: commento sull’articolo Please Acknowledge the Dick’: Inside a catfishing factory scritto da Yağmur Uygarkızı

RICONOSCERE IL CAZZO
-> se un cliente condivide una sua foto, fategli un complimento
-> se menzionano le loro dimensioni in centimetri, dite qualcosa di positivo
– > se lo tirano in ballo, incoraggiateli a mostrarvelo.
La cosa peggiore che si possa fare è ignorare il dick pic*
IL NOSTRO MESTIERE È FORNIRE INTRATTENIMENTO E FANTASIE”.

Un giornalista è andato sotto copertura in un’azienda di sex-chat. Cosa ha scoperto? Quello che le femministe sapevano già.

Per più di un dollaro a messaggio, gli uomini possono avere conversazioni a carattere sessuale con quelle che credono essere vere donne. Gli operatori, con sede in qualsiasi parte del mondo, dallo Zimbabwe alle Filippine, vengono pagati “0,06 dollari per messaggio”. Una donna ha riferito che: “Dovevo lavorare così tanto, tipo 10 ore al giorno, solo per guadagnare una cifra decente. Per questo ho smesso. È un buon part-time, ma non si può dipendere da questo”.
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Italia e America Latina in dialogo sulla violenza contro le donne

Di Yoselina Guevara L.

Sabato 26 novembre si è svolto a Torino l’incontro “Verso una direzione condivisa: Italia e America Latina in dialogo sulla violenza contro le donne”, organizzato dall’Associazione IROKO, in cui rappresentanti parlamentari e diplomatici italiani e latinoamericani, accademici ed esperti hanno commemorato insieme la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. L’evento è stato sostenuto dall’associazione YWCA Italia, dall’associazione culturale Per un Principe Enano e patrocinato dalla Confederazione degli Italiani nel Mondo (CIM), dall’Associazione per l’Italia nel Mondo (AIM) e dal Coordinamento Nazionale dei Cubani residenti in Italia (CONACI). L’incontro è iniziato con le parole della direttrice e fondatrice dall’Associazione Iroko, Esohe Aghatise, un’importante attivista per i diritti delle donne che ha ricevuto importanti riconoscimenti per il suo lavoro internazionale contro la tratta di esseri umani e come difensore dei diritti umani.
Le donne cubane, l’altra metà della rivoluzione
In questo contesto, la scrittrice, docente e attivista italiana Maddalena Celano ha presentato il suo libro “Le donne cubane: l’altra metà della rivoluzione” (CTL, Libeccio, Livorno, 2020), offrendo una sintesi delle conquiste delle donne nel corso della rivoluzione cubana e dei processi di cambiamento che hanno accompagnato le lotte sociali e culturali, soprattutto negli ultimi anni, pur subendo un crudele blocco da parte degli Stati Uniti.
L’accademica e ricercatrice Celano ha sottolineato che molte persone non conoscono il contributo fondamentale delle donne cubane alla rivoluzione cubana, al di là di Fidel Castro e Che Guevara. Sia nel famoso attacco alla Caserma Moncada del 1953, che precedette la Rivoluzione, sia nel movimento guerrigliero della Sierra Maestra, vi fu una grande partecipazione di donne combattenti, come Vilma Espín, María Antonia Figueroa, Asela de los Santos e altre. Ha anche illustrato, dettagliatamente, il sistema di corruttela mafiosa che ha caratterizzato la Cuba dei regimi di Machado e di Batista, e fondato su “mazzette” e casini, e casinò gestiti dalla mafia italo-americana, infine rovesciato dalla Rivoluzione cubana.
Maddalena Celano ha citato lo storico discorso del 1° gennaio 1959, in cui il Comandante Fidel Castro definì la discriminazione subita dalle donne nella società cubana come una delle questioni rivoluzionarie che richiedevano “più tenacia, fermezza, costanza e sforzo”. Celano ha sottolineato che da questo approccio è iniziato un percorso che ha portato le donne cubane a superare abbastanza rapidamente sfide cruciali, anche grazie a punti di partenza già avanzati.
Ha inoltre sottolineato la fondazione nel 1960 della Federazione delle Donne Cubane (FMC), sintesi di circa 800 associazioni femminili preesistenti e strutturata come una vera e propria organizzazione di massa con l’obiettivo di difendere le idee rivoluzionarie e i diritti delle donne cubane. Tra i successi legislativi della Federazione vi sono la legge che ha depenalizzato l’aborto (la prima in America Latina, nel 1965) e la legge che ha inserito il reato di discriminazione di genere nel codice penale (articolo 295), che ha aperto alle donne le porte di tutte le cariche pubbliche e di tutte le gerarchie delle forze armate. Celano ha anche fatto riferimento al lavoro del governo cubano per sradicare la prostituzione sull’isola di Cuba e ha messo a disposizione una serie di documenti ufficiali che lo sanciscono.

Violenza politica contro le donne
All’incontro ha partecipato l’Ambasciatrice dello Stato Plurinazionale della Bolivia in Italia, Sonia Brito, che ha tenuto una dissertazione sulle forme di violenza contro le donne, nascoste e permesse dal sistema, compresa la violenza a sfondo politico, che è stata sovrastata dalla narrazione globale che dà priorità alla violenza domestica. La diplomatica ha spiegato brevemente le ragioni per cui la Giornata internazionale della donna viene commemorata in onore delle sorelle Mirabal: Minerva (34 anni), Patria (36 anni) e María Teresa (25 anni) della Repubblica Dominicana, ricordando la loro lotta nella resistenza contro il regime di Rafael Leonidas Trujillo, che assassinò le tre sorelle nel 1960 e i cui corpi furono ritrovati il 25 novembre. Le sorelle Mirabal erano soprannominate “Las Mariposas”, le tre furono costantemente assediate per le loro opinioni e azioni politiche, venendo imprigionate più volte e dovendo affrontare con coraggio le vessazioni del dittatore Trujillo. L’ambasciatrice Sonia Brito ha anche fatto una breve disamina delle violenze subite dalle donne, alcune delle quali funzionari pubblici, durante il recente colpo di Stato (2019) in Bolivia, che paradossalmente è stato guidato da una donna, Jeanine Añez, attualmente sotto processo.
La violenza contro le donne, i loro corpi, le loro menti e la loro integrità
All’evento ha partecipato la senatrice italiana Alessandra Maiorino, che ha iniziato il suo intervento citando il caso del vile omicidio di tre donne a Roma, due delle quali asiatiche e una colombiana, che si prostituivano nelle loro case. La parlamentare ha parlato del fenomeno della prostituzione, sottolineando che crimini come quelli commessi a Roma dimostrano la necessità che l’Italia approvi il disegno di legge (DDL) da lei proposto, che stabilisce la modifica della Legge Merlin del 1958 in un’ottica neo-abolizionista: i punti chiave del suo DDL sono, infatti, la criminalizzazione del cliente, considerato uno dei principali responsabili che alimenta la prostituzione acquisendo il corpo della donna con piena consapevolezza, e la necessità di percorsi di reinserimento sociale delle persone prostituite, come già previsto da Lina Merlin nella Legge 75/1958.
Per la senatrice Maiorino, gli uomini chiamati “clienti” sono acquirenti, sono perfettamente consapevoli che le donne che “usano” sono lì contro la loro volontà, vittime di traffico di esseri umani, schiavitù, ricatto o altre forme di coercizione diretta o indiretta. Tali uomini sono perfettamente consapevoli che le donne sono persone “fragili”, che la società finge di non vedere, che il sistema anti-tratta non raggiunge, esposte a rischi di ogni tipo, costrette a entrare continuamente in intimità con estranei. Il “vero punto focale” è “la responsabilità dell’acquirente” del sesso, spiega Maiorino, secondo cui “Paesi come la Svezia, in primis, ma seguiti da Norvegia, Islanda, le due Irlanda, Francia e presto Spagna, hanno adottato il “modello nordico” (o “paritario”), che consiste proprio nel colpire il primo responsabile della catena infinita di abusi che ricade sulle donne: il cliente, l’uomo che fa il pagamento per sesso”.
Hanno partecipato in questo incontro in collegamento online la deputata colombiana Ilduara Barliza Brito, parlamentare e rappresentante della comunità Wayúu in Colombia; Otto L. Medero Ungo e Yana Rosa, dell’ICAP (Instituto Cubano de Amistad con Los Pueblos) di Pinar del Río, Cuba; Ibis Albisa, responsabile per l’Europa dell’ICAP (Instituto Cubano de Amistad con Los Pueblos) dell’Avana, Cuba; Barbara Iadevaia, responsabile per Cuba dell’AIM (Associazione Italiani nel Mondo) e del CIM (Comitati Italiani nel Mondo); Olga Lidia Priel Herrera, Presidente dell’Associazione Culturale Para un Principe Enano di Jesi (Italia).


Yoselina Guevara López: venezuelana, giornalista, analista politica, articolista in diversi media internazionali, il cui lavoro è stato tradotto in inglese, italiano, greco e svedese. Vincitrice del Premio Nazionale di Giornalismo Simón Bolívar 2022 (Venezuela), menzione speciale Opinione; Premio Nazionale di Giornalismo Aníbal Nazoa 2021 (Venezuela); ed il I Concorso di Memoria Storica 2022 Comandante Feliciano (El Salvador).

Video Ambasciatrice della Bolivia in Italia Sonia Brito, mandato in onda durante l’evento del 26 Novembre

Qui il video dell’incontro del 26 novembre a Torino con gli interventi dei relatori:

 

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