Iroko, fin dai suoi primi passi, ha operato in collaborazione con diverse organizzazioni, sia a livello locale che internazionale.
Siamo infatti convinti che ogni piccolo risultato si può raggiungere solo attraverso il lavoro condiviso tra realtà che perseguono i medesimi scopi.
Ecco perché esiste sul nostro blog uno spazio, che aggiorniamo periodicamente, dedicato alle associazioni, movimenti, gruppi con i quali collaboriamo (qui e qui potete conoscerne due): alcuni li abbiamo conosciuti negli ultimi anni della nostra attività, con altri condividiamo i passi da più tempo.
Per esempio, con Amici di Lazzaro.
Abbiamo chiacchierato con Paolo Botti, uno dei volontari, che ci ha raccontato che cosa fa l’associazione, dove e per chi opera, affrontando alcune spinose questioni di grande attualità, sulle quali condividiamo il punto di vista.

P. Amici di Lazzaro è nata nel 1997 dal desiderio di coinvolgere i giovani in esperienze di servizio, amicizia e preghiera con i poveri. Per noi è davvero importante l’amicizia coi poveri, che trovano più coraggio e speranza di una nuova vita se sentono di non essere soli e di avere amicizie e persone che stanno loro accanto.
Abbiamo iniziato con i senza fissa dimora, incontrandoli nelle stazioni, e proprio in questi luoghi abbiamo conosciuto le prime vittime di tratta che di notte partivano per altre città per andare a prostituirsi.
Ad oggi l’associazione ha vari servizi a sostegno delle vittime di tratta: 2 unità di strada, una piccola casa di accoglienza, un centro di ascolto e aiuto per ex vittime di tratta che dopo aver lasciato la strada hanno ancora problemi economici e lavorativi. Offriamo servizi a tutte le donne straniere: organizziamo corsi di italiano, aiuto ai compiti e doposcuola per bambini stanieri e attività di integrazione e svago rivolte soprattutto a bambini disagiati.

I. Quando e come il cammino delle due associazioni, Iroko e Amici di Lazzaro, si è incrociato e come si supportano a vicenda?
P. Ci incrociamo da anni nell’aiuto alle vittime di tratta, che cercano formazione e sostegno con la volontà di lasciare la strada; ma anche nel supporto a chi dopo la tratta rimane in strada o comunque nel mondo della prostituzione per disperazione e gravi disagi culturali ed economici. Negli anni abbiamo aiutato varie donne contribuendo alla loro formazione e al loro reinserimento sociale ed economico.
Abbiamo anche dialogato con enti provenienti da altre parti del mondo, tra cui l’ente governativo nigeriano Naptip, facendo loro conoscere la realtà italiana della tratta.

I. La vostra associazione lavora da anni nell’ambito della prostituzione: in che modo siete operativi, quali sono le specificità del territorio in cui operate e come è cambiato il vostro lavoro negli anni? Qual è il vostro approccio nei confronti della prostituzione e quindi quali azioni proponete in merito?
P. Operiamo incontrando le vittime con l’unità di strada, ma anche tramite il passaparola o attraverso l’uso dei social network.
Proponiamo a tutte le vittime la possibilità di fuga e accoglienza attraverso il sostegno della rete delle associazioni torinesi. Oltre alla fuga proponiamo e spingiamo molto perché il primo obiettivo sia l’apprendimento della lingua italiana e la formazione in qualche professione, in modo da avere più opportunità di aspirare ad una vita diversa.
Ci siamo specializzati negli anni sulla organizzazione relativa alla tratta delle donne nigeriane, poiché la modalità di sfruttamento nella quale sono inserite permette che si crei uno spazio di contatto maggiore. Ed è questa la componente etnica più numerosa delle donne vittime di sfruttamento in Italia: i dati riportano che sono nigeriane il 60% di tutte le vittime. In questi ultimi anni abbiamo assistito all’ampliamento degli stati nigeriani di provenienza: mentre fino a dieci anni fa il 95% delle donne proveniva da Edo State, ora forse più del 50% è composto da etnie nuove come Agbo o Igbo, prima in presenza piuttosto marginale.
Inoltre, negli ultimi anni si è diffuso il fenomeno delle minorenni, che corrispondono al 10-15% delle donne sfruttate; la gran parte di loro è venduta dalle stesse famiglie e alcune sono già ragazze di strada in Africa, provenienti da contesti criminali.
Pensiamo che sia fondamentale penalizzare la domanda di sesso con multe ai clienti, campagne di sensibilizzazione contro la prostituzione e demotivazione della domanda sull’esempio del modello nordico.
È opportuno e necessario anche un impegno maggiore nei paesi di origine, rafforzando le indagini sui flussi di denaro, i sequestri di beni e la distruzione delle case dei trafficanti che a Lagos e Benin City, in Nigeria, sono dei simboli dell’arricchimento facile in Europa.
È importante anche una politica di prevenzione su larga scala in Nigeria e negli altri paesi di origine delle vittime (Romania, Albania, Moldavia, Ecuador, Brasile, Cina), in cui è opportuno bloccare i flussi in partenza, ad esempio con dei filtri italo/nigeriani in Libia e altri paesi africani.
Nella prevenzione sarebbe utile un uso massiccio dei massmedia e dei social per informare ed educare le potenziali vittime quando sono ancora nei loro paesi.

I. Infine, uno sguardo su un tema che ultimamente è una scintilla di accesi dibattiti, e che riguarda ancora la donna: qual è il vostro punto di vista sulla maternità surrogata?
P. La maternità surrogata è una sorta di tratta a scopo di filiazione, che va abolita al pari della prostituzione. In Italia è vietata dalla legge 40, che viene però aggirata: molti scelgono di praticarla all’estero, registrando lì i nascituri e poi trasferendo la nascita in Italia tramite sentenza.
Basterebbe rendere questa legge valida anche all’estero, come avviene per numerosi altri reati (anche meno gravi, come per esempio produrre finta mozzarella italiana all’estero, reato punito in Italia anche se compiuto altrove).
La maternità surrogata lede il diritto dei figli ad avere un padre e una madre biologicamente certi e a non nascere orfani per contratto. Lede, inoltre, il diritto delle donne a non essere usate e trafficate per figliare (è il caso delle baby-factory scoperte in Africa e in Thailandia), o utilizzate come surrogate a causa della povertà o attraverso l’inganno; e a svilire la maternità rompendo il legame madre-figlio, senza contare le conseguenze biologiche e psicologiche dei trattamenti ormonali e medici cui vengono sottoposte le donne “surrogate”.

Qui potete leggere il punto di vista più completo di Iroko sul tema della maternità surrogata.