Qui leggete la nostra traduzione del comunicato dello European Network of Migrant Women, di cui IROKO è membro.
“This Bridge Called My Back”
Femminicidio, Violenza e Discriminazione verso le Donne Nere Africane
“This Bridge Called My Back” (n.d.r.: antologia che raccoglie scritti di donne nere radicali e pubblicata nel 1981 da Kitchen Table: Women of Color Press, autori Cherrìe Moraga e Gloria Anzaldùa)
Comunicato dello European Network of Migrant Women, Bruxelles, Luglio 2020
Lo European Network of Migrant Women si unisce alle voci delle attiviste che chiedono la fine dell’ingiustizia razziale e della discriminazione. Siamo rattristate e arrabbiate tanto dal dilagante razzismo strutturale quanto dalla mancanza di riconoscimento da parte delle autorità responsabili del suo sradicamento.
Tra le tante comunità di africani discriminate, le donne continuano a sopportare il peso di questa discriminazione. Le migliaia di donne e ragazze nere scomparse, negli Stati Uniti come in Europa, sono la testimonianza del grave abbandono delle vite delle donne nere.
È fondamentale che in questa Campagna Globale per la giustizia razziale, le voci delle donne nere non siano ignorate e che la violenza e la discriminazione che subiscono ricevano l’attenzione che queste donne meritano.
La pandemia da Coronavirus ha portato alla luce la violenza e la discriminazione che le donne nere affrontano: in Europa, in Africa, negli Stati arabi ed asiatici, negli Stati Uniti. I tassi di mortalità correlati al COVID sono tra i più alti tra i neri in Europa, fatto che evidenzia la povertà intergenerazionale, le misere condizioni di vita, le difficoltà di accesso ai servizi sanitari e la segregazione professionale maggiormente esposta al virus.
Fin dal manifestarsi della crisi per il COVID, abbiamo assistito all’approccio usa e getta verso le lavoratrici domestiche africane a livello globale: lasciate per strada e davanti alle ambasciate, che non possono o che rifiutano di aiutarle, queste donne non possono tornare al proprio paese a causa delle frontieri chiuse e della mancanza di risorse per comprarsi un biglietto aereo. Senza tetto e indigenti, sono preda delle reti di criminalità organizzata e di individui.
Anche prima della pandemia, queste lavoratrici domestiche africane avevano subito livelli di discriminazione, abuso, addirittura omicidio, senza precedenti, in tutto il mondo.
“Ho paura. Ho paura; potrebbero uccidermi” sono state le ultime parole di Faustina Tay, una lavoratrice domestica ghanese in Libano, che ha mandato decine di messaggi e foto alla sua famiglia e alle attiviste, descrivendo la violenza fisica, psicologica e sessuale che subiva abitualmente dai suoi ‘datori di lavoro’. Il caso di Faustina, trovata morta fuori dalla casa del suo datore in Libano il 14 marzo 2019, ancora una volta porta alla luce l’abuso, e l’impunità dei molestatori, a cui sono soggette le lavoratrici domestiche nere.
In Brasile ci sono circa 6.5 milioni di lavoratori domestici, di cui il 93% donne e il 61% donne nere, che guadagnano in media il 60% in meno di altri lavoratori. Tale alta percentuale di donne nere nel lavoro domestico è collegata al passato coloniale brasiliano ed è intrinseco alle divisioni di genere e di razza nel lavoro.
Noi, donne e uomini neri, fummo trafficati dall’Africa e portati qui in Brasile. La maggioranza lavorò nelle piantagioni, gli altri presso le case dei padroni
– Creuza de Oliveira, leader della Federazione Nazionale dei Lavoratori Domestici.
Per molte donne africane la schiavitù non è solo un’eredità del passato; è l’orrore del presente. La schiavitù basata sulla discendenza è ancora diffusa nell’Africa Occidentale, inclusa la Mauritania, il Mali e il Niger, dove oltre l’80% delle vittime della schiavitù, che hanno bisogno di un supporto, sono donne. In questo sistema, i bambini nati da una madre resa schiava sono considerati schiavi, mentre le donne sono trattate come mezzi per la produzione schiavista, sistematicamente violentate dai ‘padroni’ e forzate ad avere i loro figli. Per limitare i loro movimenti, le donne vengono obbligate al lavoro domestico e, anche se potessero scappare, sarebbe impossibile farlo per buona parte di loro avendo i figli a carico. Il prezzo che alcune di loro sono disposte a pagare per la libertà è quello di lasciare i loro figli con gli schiavisti. Dopo la fuga dalla schiavitù, analfabete e senza documenti, queste donne affrontano una diffusa discriminazione, non possono mandare i loro figli a scuola, e faticano a trovare un lavoro decente e una casa.
Alcune di queste donne, e anche tante altre del continente africano, vengono (ri)trafficate in Europa, dove comincia tutto un nuovo ciclo di schiavitù. Ragazze di solo 12 anni vengono portate in nave sulle coste europee, scomparendo quasi subito una volta arrivate. Prese da ‘madames’ e sfruttatori, vengono brutalizzate e forzate ad entrare nella prostituzione, obbligate di pagare il costo del proprio essere trafficato. Una volta scomparse, raramente queste ragazze sono ritrovate, a meno che non siano morte. Quando vengono riconosciute come vittime di tratta, il loro diritto alla tutela, all’asilo e a ricevere un compenso è abitualmente negato, e vengono espulse e riportate nei paesi di origine, e di nuovo nelle mani degli sfruttatori.
Foto: Le tombe di 26 ragazze nigeriane affogate nel mare mediterraneo, pronte per essere sepolte a Salerno, Italia. 2017(Fonte AFP)
L’abuso sessuale e pornografico delle donne e ragazze nere ha una nicchia lucrosa nel sistema della prostituzione, dove l’immaginario coloniale degli uomini viene soddisfatto da vittime ‘esotiche’ che vengono fornite dalle reti internazionali della criminalità organizzata. Dove i cartelli della tratta rimangono invisibili, i ‘lover boys’ manipolano e costringono le giovani e le ragazze nere ad entrare nel commercio dello sfruttamento sessuale. Le reti ‘pedofilo-criminali’ si sono moltiplicate sui social network – Telegram, Whatsapp, Facebook – dove gli uomini fanno offerte per queste ragazze che ora possono essere brutalizzate su richiesta, senza essere trafficate fisicamente. I siti pornografici sono pieni di tag come ‘adolescenti neri violentati’ e ‘donne nere schiave’.
In Europa, tante donne di origine africana fanno fronte alla povertà e all’emarginazione intergenerazionale e regolarmente appaiono tra i gruppi che hanno la minore possibilità di accesso ai servizi sanitari, e affrontano la discriminazione nei servizi ostetrici, di maternità, e nei servizi per l’infanzia. Nelle strutture di accoglienza, tra cui i cosiddetti servizi alla persona, le donne africane vengono spinte ad entrare nella prostituzione mentre affrontano quotidianamente rischi di violenza domestica e di controllo coercitivo dai loro compagni. La maggior parte delle donne non denuncia questi crimini per paura di perdere i documenti o di subire ritorsioni all’interno della loro comunità.
“Ho così tanta paura che non riesco neanche a respirare”
La mancanza di una risposta, le indagini lente e la negligenza della polizia nei casi di violenza sulle donne nere in Europa, aggravano la situazione.
“Ho così tanta paura che non riesco neanche a respirare” sono state le ultime parole che Linah Keza, di origine ruandese, ha detto alla polizia britannica quando ha chiesto più volte il loro aiuto il 28 e 29 luglio 2013, prima che il suo ex-compagno violento la uccidesse a coltellate il 31 luglio.
Linah ha anche chiesto un ordine di protezione dalla corte, spiegando nella sua denuncia come, nel corso di 4 anni, era stata assillata, perseguitata, controllata, minacciata e abusata da un uomo che la picchiava, che aveva tentato di strangolarla, l’aveva soffocata con un cuscino, le aveva infilato un coltello in bocca e che era noto portasse una pistola.
“Sono certa di rischiare gravi danni se alla persona imputata non venga ordinato di fermarsi subito… Sono terrorizzata… Non voglio più vivere una vita di violenza,” ha detto nella sua denuncia.
Nel marzo 2019, periodo inaccettabilmente lungo dal suo omicidio, i tre ufficiali di polizia furono dichiarati colpevoli di cattiva condotta, ricevettero un avvertimento ma hanno conservato il loro lavoro. Nel frattempo, la morte di Linah è diventata un ‘caso di studio’ all’interno di un corso sull’abuso domestico al quale prestare particolare attenzione riguardo al trattamento delle donne nere.
La vita di una donna nera è più che un ‘caso di studio’. Di quanti casi studio abbiamo bisogno per fare i conti con la questione delle vite delle donne nere?
Nonostante secoli di brutalità coloniale e di discriminazione, nonostante il diffuso razzismo sessualizzato e il sessismo razzializzato, le donne nere non hanno mai avuto un atteggiamento passivo nella lotta all’oppressione.
Hanno guidato e continuano a guidare i movimenti per la liberazione e la giustizia: dalla resistenza anti-coloniale nelle nazioni africane, al Collettivo Combahee River degli anni ‘70 negli USA (n.d.r., collettivo di femministe e lesbiche nere nato negli Stati Uniti nei primi anni Settanta per iniziativa di Barbara Smith) e al Brixton Black Women’s Group in Gran Bretagna, al Black Lives Matter nel 2013. Le donne nere hanno difeso i loro diritti – alla vita, alla libertà, alla protezione e ad un reddito dignitoso – e hanno difeso quei diritti per le loro comunità, per le loro famiglie, per i loro figli e i loro cari.
Le donne nere sono state costantemente impegnate nella lotta, per i diritti delle loro comunità in quanto cittadini uguali all’interno della società e per i loro diritti in quanto donne nelle loro comunità. Si sono sollevate contro la discriminazione razziale all’interno dei movimenti femminili, si sono opposte ai patriarchi nei movimenti anti-razzisti e nelle loro famiglie, hanno parlato coraggiosamente del predominio patriarcale bianco che continua a permeare il sistema di potere e le istituzioni.
Oggi, esortiamo le istituzioni pubbliche garanti dei diritti, delle libertà e della dignità dei cittadini, le autorità per la migrazione e l’asilo, le autorità giudiziarie e la polizia, i politici in carica e coloro che si preparano per le elezioni, le istituzioni mediche ed educative e il settore commerciale, a riconoscere e porre fine alla sistematica discriminazione razzializzata e sessualizzata delle donne nere.
Invitiamo le nostre sorelle e i nostri fratelli, all’interno dei movimenti dei diritti umani, a ricordare e tenere conto del ruolo e del contributo delle donne nere. Rispettare e apprezzare l’analisi e gli stimoli provenienti dalle donne nere africane. Riconoscere l’oppressione razzista-misogina che affrontano le sorelle nere, nel mondo, e impegnarsi a compiere passi concreti per la sua eradicazione.
European Network of Migrant Women è una piattaforma guidata da donne migranti femministe che sostengono diritti, libertà e dignità delle donne e ragazze migranti, rifugiate e appartenenti a minoranze etniche in Europa www.migrantwomennetwork.org