Aborto in Europa: diritto pienamente acquisito o instancabile lotta?
Dichiarazione di ENOMW per la Giornata Internazionale sull’Aborto Sicuro
Bruxelles, 28 Settembre 2020
Traduzione italiana a cura dell’Associazione IROKO
“Mai dimenticare che basta una crisi perché i diritti delle donne siano minacciati. Tali diritti non sono mai garantiti. È necessario essere vigili per tutta la vita”
Con la crisi generata dal COVID-19, questa citazione della femminista francese Simone de Beauvoir si dimostra ancora una volta un severo richiamo ad una cruda verità. Di fronte a questa emergenza sanitaria senza precedenti, i Paesi europei hanno adottato misure straordinarie quali estese chiusure, restringendo nel frattempo libertà e diritti umani. Le prime vittime? Le donne, dovunque, che sopportano violenze, dal rimanere intrappolate con i loro abusatori (molti Paesi europei hanno riscontrato una crescita di circa il 30% delle chiamate di emergenza che denunciano violenze domestiche) al non poter godere di un proprio diritto, come l’accesso all’aborto sicuro e legale.
In Italia, l’immobilismo del governo ha lasciato donne e ragazze davanti ad ostacoli evitabili nell’accesso ai diritti, mettendo a rischio la loro salute e le loro vite, secondo quanto riferito da Human Rights Watch. Un tale fallimento nel garantire la salute sessuale e riproduttiva delle donne non sorprende: mette solo in luce limitazioni ormai superate di molti Paesi europei e il danno che queste causano a donne e ragazze.
La Commissione Pari Opportunità per Donne e Uomini del Consiglio d’Europa considera che “un divieto sull’aborto non si traduce in meno aborti, ma conduce essenzialmente ad aborti clandestini , che sono più traumatici e più pericolosi”. Nonostante questa ovvia verità, alcuni Paesi europei ancora non permettono l’aborto, anche quando la vita delle donne è in pericolo, in casi come Malta.
Persino in paesi dove questo diritto è riconosciuto, l’accesso sembra essere sempre un problema. Negli Stati dove l’aborto è legale, le condizioni non garantiscono sempre un accesso reale; la mancanza di strutture sanitarie locali, l’assenza di medici che vogliono praticare aborti, le ripetute consulenze mediche richieste, il tempo imposto per cambiare idea e l’attesa per l’appuntamento per l’aborto, sono tutti potenziali fattori che rendono l’accesso all’aborto più difficile, o addirittura impossibile nella pratica.
Queste limitazioni condizionano sempre e in maniera sproporzionata donne che sono già più vulnerabili: donne che vivono in aree urbane o rurali che potrebbero non avere accesso alle informazioni o alle strutture adeguate, donne senzatetto che non hanno i mezzi per farsi curare e, ovviamente, donne e ragazze migranti.
Barriere linguistiche, discriminazione, mancanza di accesso agli ambulatori, precariato, negazione dei servizi sanitari a gruppi vulnerabili, mancanza di dignità come limite alla cura, vulnerabilità di adolescenti, violenza basata sul sesso, tratta sessuale: violazioni di diritti sessuali e riproduttivi sono onnipresenti nelle realtà vissute da donne e ragazze rifugiate. Considerate le condizioni negli ambienti dei rifugiati, compresi alti livelli di violenza sessuale, gravidanze indesiderate e aborti a rischio sono un grande problema. Eppure i servizi per donne e ragazze rifugiate che desiderano terminare una gravidanza indesiderata sono quasi inesistenti. L’entità del bisogno di servizi per l’aborto tra le donne rifugiate rimane sconosciuta. UNFPA stima che il 25-50% di mortalità materna nei luoghi per rifugiati sono dovute a complicazioni per aborti non sicuri.
Nel mondo più della metà dei rifugiati sono sotto i 18 anni. Le adolescenti rappresentano un gruppo particolarmente vulnerabile all’interno della popolazione rifugiata. Una mancanza di consapevolezza su salute e diritti sessuali, insieme a una mancanza di accesso alla contraccezione, si traduce in minori incinte che cercano di abortire clandestinamente mettendo a rischio la loro vita.
Che cosa giustifica questa inammissibile mancanza di accesso di donne e ragazze al loro diritto alla salute e all’autonomia del corpo? La legge, la prassi e, soprattutto, la mentalità. ‘Le ragioni morali personali’ che permettono ai dottori di rifiutarsi di praticare un aborto sono ancora riconosciute in 22 di 28 Paesi membri dell’Unione Europea (secondo il Global Abortion Policies Database 2018 del WHO).
In alcuni paesi, come la Polonia, il personale medico rifiuta di praticare aborti in nome della propria religione – la Chiesa Cattolica, tra le altre, considera l’aborto un ‘peccato morale’. In questo paese, che ha già una tra le più severe legislazioni in Europa, i tentativi da parte del Parlamento e del Governo di inasprire ulteriormente le leggi sono numerosi. Sebbene siano stati abbandonati dopo le proteste di massa del 2016, il Presidente Andrzej Duda ha detto che avrebbe firmato la legge se fosse arrivata sulla sua scrivania. Nell’attuale contesto desta grave preoccupazione che i politici conservatori stiano usando la ‘distrazione’ della pandemia da coronavirus per far passare questa vergognosa legge.
A Malta, roccaforte della Chiesa Cattolica, la chiusura dei confini ha bloccato donne che chiedevano aborti sicuri, oltre a rendere chiaro un problema esistente, in cui l’aborto legale è possibile solo per chi può permettersi un volo all’estero. Malta è l’unico Stato europeo che vieta totalmente l’aborto, persino in casi di stupro, incesto, o se la salute della donna è a rischio. Ha leggi sull’aborto tra le più severe al mondo; una donna che abortisce e il dottore che facilita tale procedura possono rischiare ciascuno tre anni di prigione. Perfino la pillola del giorno dopo – resa legale solo nel 2016 – è difficile da reperire poiché i farmacisti possono rifiutarsi di venderla, ancora sulla base di una ‘posizione morale’.
In Italia il 68,4% dei ginecologi si definisce ‘obiettore di coscienza’, secondo i dati del 2017 del Ministero della Salute italiano. In alcune aree del Paese, l’accesso all’aborto è pressoché impossibile, con ginecologi che, nelle regioni meridionali del Molise e della Basilicata, fanno obiezione a un tasso rispettivamente del 96,4% e dell’88,1%.
Alla luce degli insopportabili e costanti attacchi a cui siamo sottoposte, è impossibile negare che sia assolutamente necessario consolidare il diritto all’aborto, ovunque minacciato. La sua continua erosione rimane al centro della guerra contro le donne condotta da forze reazionarie in Europa e nel mondo. I gruppi religiosi e della destra alternativa non sono gli unici in questa guerra contro i nostri diritti. Negli ultimi anni, i movimenti pro-aborto sono stati attaccati da quelli neo-liberali, neo-patriarcali e dai cosiddetti gruppi progressisti che sono a favore della normalizzazione della prostituzione e della maternità surrogata. Questi gruppi strumentalizzano la lotta delle donne per l’aborto e confondono la ‘scelta’ con la violenza. Essi affermano che il diritto delle donne di scegliere di interrompere la gravidanza sia uguale al nostro ‘diritto di scegliere’ di essere trafficate e stuprate all’interno della prostituzione, e al nostro ‘diritto di scegliere’ di ‘affittare’ i nostri uteri a rischio delle nostre vite. Non sono in grado di analizzare e comprendere il contesto globale di oppressione e violenza basata sul sesso che subiamo. Ignorano la precarietà, i traumi e le minacce che determinano sempre le cosiddette ‘scelte’. In quanto donne migranti, lottiamo contro queste pericolose menzogne e ci impegniamo per una vera autonomia del corpo, in cui nessuno può venderci, affittarci o possederci, un’autonomia di cui noi abbiamo il controllo.
Ogni anno nel mondo 47.000 donne muoiono in conseguenza di aborti clandestini. Recentemente in Brasile, una folla di manifestanti religiosi ha tentato di assaltare un ospedale per bloccare una ragazza di dieci anni che stava per sottoporsi ad un aborto dopo che era stata stuprata dallo zio. Tale indescrivibile violenza e gli ipocriti giochi politici intorno ad essa continuano a dimostrare il disprezzo generale per le vite di donne e ragazze a livello globale.
Oggi nulla garantisce e protegge il nostro fondamentale diritto all’aborto se non l’instancabile lotta di attiviste femministe dappertutto.
Pretendiamo che gli stati membri legalizzino l’aborto senza alcuna condizione, per garantire un accesso libero e sicuro a tutte le donne e ragazze e armonizzare i termini di legge con quelli dei Paesi europei più progressisti.
E soprattutto, rivendichiamo il riconoscimento di aborti legali, sicuri e liberi per tutti quale diritto fondamentale che deve essere sancito come tale a livello europeo.
Non fermeremo la lotta finché il diritto all’aborto non sia garantito a TUTTE le donne e ragazze, senza alcuna discriminazione.