Protagonista dell’educazione dei figli, custode dell’istruzione, del sapere e delle radici familiari, agente del cambiamento: è la donna, in Italia, in Africa e nel mondo.
Molto spesso, però, questi valori non le vengono riconosciuti, gran parte delle società di oggi non propongono ancora modelli alternativi inclusionisti.
Nella settimana dedicata alla lotta alle discriminazioni -che culmina nella giornata contro ogni forma di razzismo, il 21 marzo- la Regione Piemonte ha avviato un tavolo di discussione proprio sul Protagonismo delle donne africane -Quali sfide?, per dare spazio alle voci di donne dell’Africa Nera, che si confrontano con la società e le donne italiane.
Il Piemonte ha manifestato negli ultimi anni un concreto impegno ad abbattere stereotipi di genere e razzismi diffusi, prima approvando il ddl 141, che definisce il divieto di
ogni forma di discriminazione e il riconoscimento della parità di trattamento in ambito regionale, poi la legge quadro 2016, che prevede interventi di prevenzione e contrasto alla violenza di genere e il sostegno alle donne vittime di violenza ed ai loro figli; dove la violenza contro la donna è riconosciuta come violazione dei diritti umani e dove vengono istituiti i centri antiviolenza e le case rifugio. È L’Assessora alle Pari Opportunità Monica Cerutti ad aprire l’incontro, proprio facendo il punto sulla legislazione regionale, “ma c’è ancora da costruire la legge sull’immigrazione: con gli arrivi di rifugiati, che si sono intensificati nell’ultimo periodo, si pone oggi poca attenzione sulla tutela dei migranti economici”.
Un dato significativo, su cui è necessario riflettere, è la diminuzione dei reati commessi dai minori stranieri, di contro aumentano però quelli commessi da giovani delle seconde generazioni di migranti. Il contesto sociale è cambiato, non c’è dubbio, e “bisogna impegnarsi -continua l’assessora- nella costruzione di una nuova realtà, in cui l’uguaglianza di genere sia uno dei pilastri”.
Perché la donna, anche nel fenomeno migratorio, ha un ruolo fondamentale: divisa tra la cultura di origine e quella di arrivo, ha il compito di trasmetterle entrambe ai figli, e al suo ruolo di educatrice si è aggiunto con sempre maggiore forza quello di lavoratrice -afferma Jacqueline N’Gbe, mediatrice culturale-, soprattutto con l’aumento della disoccupazione maschile. E nel lavoro, sostengono le donne africane, i pregiudizi in merito alle competenze professionali si sono acuiti, tendendo al paradosso nelle esperienze delle donne rifugiate, che alle richieste di equipollenza dei titoli si sentono rispondere che sarebbe necessario ritornare presso le Ambasciate dei Paesi di origine.
Proprio le richiedenti asilo, che spesso vivono condizioni di disagio al limite della dignità: per loro i posti di accoglienza sono ancora troppo pochi -ricorda Janet Buhanza, educatrice- e la sistemazione temporanea diventa una casa occupata.
L’Europa, l’Occidente, fanno fatica ad accogliere i migranti, la politica diffusa è quella di alzare barriere, muri, imporre dei confini. Le Nazioni africane, invece, sanno accogliere, e non per istinto, ma per cultura, per educazione. I rifugiati accolti nella migrazione interna all’Africa sono di gran lunga maggiori che in Europa. A sostenerlo è Cecilia Pennacini, antropologa ed etnologa presso l’Università di Torino, ricercatrice da anni nella regione sub-sahariana dei Grandi Laghi (Ruanda, Uganda, Congo, Burundi), dove la donna da anni ha le possibilità di emergere. “Le donne dell’Africa Nera, infatti -continua- sono particolarmente imprenditive, perché si formano in un contesto che tende a valorizzarle. È solo dalla fine dell’Ottocento, con l’arrivo dei missionari, che questo potere femminile viene vanificato e si assiste ad una non troppo lenta transizione al sistema capitalistico”.
Se si pensa che l’Uganda conta il 35% di Parlamentari donne contro il 31% dell’Italia, una riflessione nella parte sviluppata del mondo è lecita se non obbligata.
L’indifferenza mostrata dagli Italiani verso la cultura africana è spesso frutto di una mancanza di conoscenza. Ecco perché, sostiene Aimè Ngoma, educatrice, più che l’integrazione è importante, in questa fase, interagire, conoscersi, confrontarsi, per creare le basi per un futuro processo di integrazione, in cui è necessario il ruolo attivo delle istituzioni, promotrici di un percorso che garantisca pari opportunità per tutti.
L’Africa è donna. Qualche esempio?
Joyce Banda, Presidentessa del Malawi dal 2012 al 2014; Bineta Diop, diplomatica senegalese impegnata nella protezione delle donne nei conflitti armati e nella loro integrazione nei processi di pace; Ellen Johnson, Presidentessa della Liberia, Nobel per la Pace, Were Were Liking, attrice e drammaturga camerunense; Wangari Maathai, prima donna africana Nobel per la Pace e fondatrice del Movimento della Cintura Verde: il rimboschimento come sfida alla corruzione politica e come laboratorio di lotta per la democrazia e i diritti umani, dove le donne, proprio loro, hanno un ruolo centrale.