L’associazione Iroko Onlus ha organizzato, nella primavera 2021, un ciclo di seminari dal titolo “Smontare il sex work, dialoghi intorno alla prostituzione”, ospitando varie esperte, sopravvissute e attiviste provenienti da tutto il mondo. Ogni settimana due donne hanno spiegato il fenomeno della prostituzione da una diversa prospettiva: dai legami con tratta e pornografia, al linguaggio, alle leggi, fino alle politiche per implementare il modello abolizionista.

Nel primo incontro è stata ospite Gail Dines, professoressa di sociologia e studi sulle donne presso il Wheelock College a Boston, fondatrice e presidente dell’associazione Culture Reframed. Dines, da diversi anni, svolge ricerche sulla pornografia e l’industria del sesso ed è stata definita dal quotidiano The Guardian “principale attivista femminista anti-pornografia al mondo”.
Femminista radicale, Dines sostiene che prostituzione, tratta e pornografia siano fenomeni legati tra loro, nonostante i sistemi antitratta spesso non colgano le implicazioni. Essi, infatti, tendono a considerare la pornografia come un fenomeno a sé stante, quando in realtà anch’essa è un ingranaggio dell’industria del sesso al pari della prostituzione e della tratta. Addirittura, alcuni operatori antitratta e sociologi sostengono vi sia una distinzione tra tratta a scopo di sfruttamento sessuale e prostituzione, l’una costrizione l’altra “un lavoro come un altro”. Non si considerano tre cose, a nostro parere, importanti:

  • in questo modo viene tralasciato l’elemento dello sfruttamento nell’industria del  sesso, quindi anche della pornografia, vista dai sostenitori del sex work come un “normale business”.  

  • le forme di violenza insite in questa industria diventano parte della routine del ‘lavoro’, anche quando si parla di minorenni che si prostituiscono. Le persone nella prostituzione sono in maggioranza donne, i prosseneti invece uomini, così come i “clienti”. Il 72% delle vittime di tratta a livello globale è donna, lo sfruttamento sessuale rappresenta il 59% della tratta e di questo la componente femminile rappresenta l’ 83%.

  • da un’indagine svolta dalla Direzione generale di statistica del Ministero della Giustizia, pubblicata nel settembre 2015, i trafficanti condannati in Italia hanno un’età media di 35 anni, 2 volte su 3 sono uomini, in gran parte stranieri (87,4%) tra cui il 45,2% è di nazionalità rumena, il 14,9% albanese e il 10,1% nigeriana. Per quanto riguarda i compratori di sesso, sono 2,5 milioni i maschi che frequentano donne prostituite. Sono uomini di ogni tipo di classe sociale, provenienza geografica e fascia di età.

Non può esistere nessun lavoro in cui il corpo stesso e la propria intimità vengano vendute in cambio di denaro. Stiamo assistendo, perciò, ad una normalizzazione della violenza.

Cultura pop e glamourizzazione della prostituzione

Dines spiega come la cultura pop, rendendo glamour il fenomeno della prostituzione, legittima la violenza esercitata sulle donne prostituite. Un esempio emblematico è il film “Pretty Woman” (1990), che ha fruttato ben oltre 460 milioni di dollari e che vede come protagonista una giovane prostituta, Vivian Ward, interpretata da Julia Roberts, che lascia il suo lavoro per vivere con Edward come una felice coppia sposata. Il film rappresenta quello che Dines definisce “whitewashed glamorization” della prostituzione: la donna prostituita è rappresentata dalla donna bianca in cerca di fortuna e ricchezza. Ma Gail si chiede come mai Hollywood non abbia mai realizzato un sequel del film, nonostante il suo successo. In realtà, riflette Dines, il film successivo interpretato da Julia Roberts ha come titolo “A letto col nemico” (“Sleeping with the enemy”, 1991) che rappresenta esattamente ciò che sarebbe stato il vero sequel di Pretty Woman: una donna abusata fisicamente e psicologicamente dal marito, ciò che sarebbe stato Edward per Vivian in Pretty Woman 2. 

Il cliente, Internet e il porno

Edward, il cliente, appunto. Chi è? 
“Ci sono due teorie” – afferma Gail – “che spiegano cosa spinge gli uomini a diventare john: secondo la prima essi sono biologicamente predisposti ad essere stupratori e dipendenti dal porno ed è quella che noi definiamo come “determinismo biologico”; la seconda è quella che vede gli uomini, compratori di sesso, come soggetti che subiscono un condizionamento sociale. “Come femminista e madre di un figlio maschio, non posso accettare la teoria che avvalora la visione degli uomini come biologicamente predisposti a tale violenza verso donne, bambine e bambini.” 
Gail afferma che l’industria del porno è una delle più grandi forme di socializzazione maschile al mondo, considerando che è accessibile a tutti in maniera totalmente gratuita, anche ai giovanissimi. 

I pornografi hanno “cannibalizzato” Internet e sono i maggiori esperti in tecnologia. Il porno è arrivato a occupare un terzo del mondo di Internet tra download e ricerche su Google, i siti porno raccolgono più visitatori ogni mese rispetto a Amazon, Netflix e Twitter messi insieme. “Perciò -sostiene la sociologa- non esiste nessuna piccola industria, bensì esiste un’enorme industria multimiliardaria che non è regolata e che si interfaccia con il mondo capitalista”. 

Per comprendere l’industria del porno si consideri PornHub, uno dei maggiori siti porno online gestito da MindGeek Holding S.a.r.l., società lussemburghese attiva nel settore della pornografia online con sede a Montréal, in Canada. 

L’aspetto interessante è l’assenza di qualsiasi riferimento alla pornografia sul sito web. Anzi, l’Amazon della pornografia, come Dines lo definisce, si presenta come esperto in comunicazione tecnologica. I contenuti dei siti porno sono accessibili a qualsiasi bambino nel mondo e si stima che l’età dei bambini che vi entrano sia tra gli otto e i dieci anni. Uno studio di Anna Bridges et al. sostiene che il 90% dei contenuti – non etichettati come hardcore – rappresenta scene di violenza compiuta sulle donne. 

Risulta inutile, però, distinguere tra porno mainstream e porno hardcore perché entrambi rappresentano forme di violenza. La maggior parte delle scene, infatti, contiene i seguenti atti violenti: gagging (soffocamento tramite genitali maschili); strangolamento, sesso anale violento, il quale causa spesso prolassi anali; eiaculazione e/o sputo in faccia alla donna, causando anche congiuntivite gonococcica. Lo strangolamento è particolarmente pericoloso perché le donne rischiano di morire anche nei giorni seguenti a causa delle lesioni subite. 

Il consenso, dato spesso per scontato in pornografia, è un concetto ampiamente utilizzato anche nel linguaggio della prostituzione. Secondo i sostenitori del “sex work”, le donne prostituite scelgono liberamente di esercitare l’attività prostituente. Ma, se così fosse, come si spiega che il 72% delle vittime di tratta al mondo sia donna e nella maggioranza dei casi per sfruttamento a scopo sessuale?  “Il contratto –  se così si può definire – nella prostituzione non può essere considerato consensuale perché non avviene tra persone “pari”, sostiene l’attivista, “ma tra un membro di una classe privilegiata, ossia un uomo, e un altro di una classa oppressa in base al sesso, una donna. L’uomo esercita il suo potere sulla donna diventando il suo oppressore”. 

Queste sono alcune tra le inserzioni che si trovano sui siti porno, raccolte da Gail: 

“Sai cosa diciamo di cose come romanticismo e preliminari? Vaffanculo! Noi prendiamo giovani cagne carine e facciamo loro quello che ogni uomo vorrebbe fare. Le facciamo soffocare, (qui inteso tramite la pratica del pene in bocca), fino a che il mascara cola sulle loro guance … e poi eiaculiamo loro in faccia.” 

Gail sostiene che queste inserzioni siano manipolatorie, parlano a tutto il pubblico maschile dando per scontato che tutti gli uomini vogliano fare ciò, ma non è così. “Un uomo adulto può avere una certa consapevolezza sulla sua sessualità, ma un ragazzino di 11 o 12 anni, senza un minimo di repertorio sessuale, cosa penserà?”, si interroga Gail, “che questo sia il rito di passaggio per la mascolinità”.

Il porno mainstream dunque è rappresentativo di quella che viene definita cultura dello stupro, nella quale tutte le violenze sulle donne vengono minimizzate, normalizzate o anche incoraggiate.

Le statistiche riportano che nel 2019 i siti porno di Mindgeek hanno raggiunto i 42 miliardi di accessi, mentre nel 2018 erano 33 miliardi, con una media giornaliera di 100 milioni di visitatori, 962 click al secondo e 1 milione di ore di nuovi contenuti. L’epidemia ha aggravato tale situazione. PornHub ha infatti reso gratuita la sezione premium. “In Francia, Italia e Spagna dovreste cercare il numero degli uomini che ha usufruito di PornHub, in alcune nazioni la percentuale è stata del 40% e in altre 60%.Questo significa che più donne e bambini erano esposti, durante il lockdown, a vivere con uomini che guardavano porno o più porno di prima.”

Le conseguenze del porno

La sociologa inglese ribadisce che ci sono almeno 40 anni di ricerche – tra le quali ricordiamo quelle di Melissa Farley – condotte sugli effetti che il porno causa sulla salute degli uomini. I ragazzi, così come gli uomini, più guardano porno, più avranno una limitata capacità di espressione della propria intimità, useranno più facilmente tattiche coercitive tra le quali il sexting, le molestie sessuali, lo stupro; saranno maggiormente predisposti a comportamenti sessuali rischiosi, ad ansia, depressione, pornodipendenza e disfunzione erettile. La violenza nel porno è anche filmata. “Quelle immagini seguiranno la donna per il resto della vita, con la paura che conoscenti e familiari possano scoprirle e utilizzarle per la cosidetta sextorsion”. Gail aggiunge anche che “Le donne che hanno esercitato sia nel mondo del porno che della prostituzione hanno livelli di stress post traumatico più alti di un veterano tornato dalla guerra.” 

Il mondo della pornografia è strettamente connesso al fenomeno della tratta. La maggior parte degli uomini cresciuta col porno cerca proprio quel gruppo di donne che non sono libere di scegliere, perché sono trafficate, potrebbero essere picchiate o uccise dai papponi. A confermare l’interconnessione tra i sistemi tratta, porno e prostituzione vi sono anche i cosiddetti “suitcase pimp”, ossia i ragazzi o mariti della donna prostituita o inserita nell’industria del porno, che gestiscono gli affari delle loro “compagne”. Sono proprio loro che prostituiscono le donne nell’industria del porno e Gail riferisce di averlo visto con i propri occhi durante la fiera del porno più grande al mondo, che ha luogo annualmente, ogni gennaio, a Las Vegas. “Ho visto papponi fare affari con pornografi vendendo le donne nei vari settori dell’industria del sesso … è una porta girevole.” Come le fiere in cui venivano venduti i corpi degli schiavi nell’Ottocento, e ancora più recentemente in Libia.

Come porre fine all’industria del porno?

Ad oggi l’associazione Culture Reframed, fondata da Dines, ha creato due programmi, uno dei quali è rivolto a sostenere i genitori nella costruzione di un dialogo con i giovani sulla pornografia. Il programma contiene conversazioni scritte ed elaborate da un team multidisciplinare formato da psicologi/e, pediatri/e, esperti/e di educazione sessuale, operatori/operatrici di associazioni per la salvaguardia dei diritti dei/delle bambini/e. In Turchia, assieme alla Therapeutic Association of Turkey, Culture Reframed ha formato 200 terapeuti che ora stanno formando, a loro volta, la società civile e altri/e esperti/e. Questo programma rappresenta dunque un percorso formativo e come lo definisce Gail “è una risorsa là fuori” per coloro che vogliono combattere la violenza sulle donne esercitata dall’industria pornografica.

Gail sostiene che per mettere fine alla violenza del porno bisogna regolarizzare tutta la catena di produzione partendo dalla distribuzione e ribadisce che sono tre gli elementi chiave: regolarizzazione, consapevolezza e educazione su ciò che rappresenta veramente il porno. “L’industria del porno non è nascosta come lo sono i trafficanti, ma sta a Montreal! Se vogliamo distruggerla dobbiamo agire con denunce collettive e azioni di gruppo. Il mio consiglio non è mandarli in galera, ma farli andare in bancarotta. Nel momento in cui vengono condannati ci saranno altri che li rimpiazzeranno. Perciò, l’unica maniera è utilizzare il sistema capitalistico a nostro favore per una volta!”. 

Un esempio di questo tipo è la recente campagna TraffickingHub, che accusa PornHub di fare profitto sfruttando donne e minori vittime di tratta e di violenza. I soggetti che fanno capo alla campagna nata in Canada, infatti, hanno spinto perché Visa, Mastercard, Paypal e altri istituti finanziari prendessero posizione contro il noto sito porno. Il giorno successivo al lancio della petizione contro PornHub, la BBC ha pubblicato la terribile storia di Rose Kalemba, una quattordicenne stuprata per 12 ore in un appartamento. Gli stupratori hanno poi caricato i video delle torture inflitte alla ragazza sul sito di Pornhub. Solo dopo sei mesi di battaglie legali, iniziate dalla vittima, i video sono stati rimossi.

Questo articolo è stato scritto in collaborazione con la dott.ssa Giulia Poletti.