Siamo stati molto onorati, come associazione Iroko, di aver accolto Rachel Moran, Ingeborg Kraus, Blessing Okoedion e Julie Bindel come ospiti della nostra Conferenza Internazionale sull’industria del sesso e sulla tratta di persone, che abbiamo organizzato lo scorso 27 e 28 maggio a Roma, insieme con Resistenza Femminista, UDI Napoli,  Salute Donna e Differenza Donna.

Non siamo nuovi a questi temi, ma l’abilità di queste oratrici di infondere passione e ispirarci all’azione riesce sempre a sorprenderci. Riteniamo non si debba sottovalutare il potere di un oratore ben informato, empatico ed eloquente. E ci riteniamo fortunate ad avere avuto l’opportunità di veder rappresentate diverse prospettive – dalle sopravvissute alla prostituzione e alla tratta, ad esperti in trauma ad autori di respiro internazionale – che offrono una immagine completa di tale dannosa industria.

É innegabile che ci sia un legame tra il commercio di sesso e la tratta di persona; quest’ultima esiste per ‘sfamare’ in gran parte la prima, tra altre industrie.
Blessing Okoedion è arrivata in Italia nel 2013. Laureata in informatica, riparava computer nel suo negozio in Nigeria, ma un giorno una donna le ha proposto la possibilità di andare a fare quel lavoro in Europa. Perché no?, si è detta. Aveva 26 anni e da Benin City si è trovata sulle strade dell’Italia a fare la prostituta. “Ero disperata. Mi sono resa conto di essere finita nelle mani dei trafficanti: non potevo usare il cellulare, dovevo indossare i vestiti che volevano loro, ero diventata la loro schiava, un oggetto. Mi hanno detto: ci si abitua a vivere una vita di schiavitù. Ho ascoltato le storie disperate di tante ragazze sulla strada e mi sono detta: perché sono finita qui? Non era questa la vita che desideravo!”. Il suo inferno è finito quando ha deciso di denunciare i suoi sfruttatori ed è cominciata la sua nuova vita nella casa che l’ha accolta.
E ribadisce che nessuna delle ragazze che sono sulla strada sceglie di fare la prostituta, nessuna vuole diventare un prodotto al servizio di un cliente.
Un aspetto essenziale sottolineato da Julie Bindel nel suo intervento alla Camera dei Deputati è che, mentre lottiamo per l’abolizione della prostituzione, contribuiamo allo stesso tempo a risolvere il problema della tratta. Poiché il commercio sessuale è un’industria multi-miliardaria, è necessario affrontare la questione della domanda per arginare effettivamente l’offerta nel lungo periodo.

Conosciamo tutti molto bene la definizione della prostituzione come ‘la più antica professione del mondo’, un luogo comune spesso utilizzato dalle persone messe di fronte all’idea dell’abolizione della prostituzione, dell’eliminazione totale del commercio sessuale – pensano infatti che non sia possibile. Preferiscono continuare a promuovere il mito per cui la prostituzione sia semplicemente inevitabile, poiché è sempre esistita. Non è assolutamente vero. La prostituzione non è inevitable. Come ha sottolineato Julie Bindel, esistono e sono sempre esistite nella società molte questioni complesse, ma che abbiamo molte più speranze di eliminare. Povertà. Abusi sui minori. Stupro. Violenza domestica. E non parliamo semplicemente di riduzione del danno, ma della volontà di porre fine a tali problemi. E intendiamo questo come un obiettivo realistico e opportuno. Perché, quindi, l’idea della legalizzazione (o decriminalizzazione – l’altro lato della medaglia) è così diffusa quando è applicata alla prostituzione? Ciò che distingue la prostituzione da altre forme di abuso sono i soldi in ballo. Ci sono infatti enormi interessi acquisiti a garantire la sopravvivenza di tale industria. Eppure c’è chi parla di vantaggi per le donne – migliore assistenza sanitaria e protezione, maggiore indipendenza professionale e un minore pregiudizio.
Ci rivolgiamo a Ingeborg Kraus per smontare questi miti. Kraus, esperta di trauma in Germania, conosce bene la realtà di un sistema in cui la prostituzione è stata legalizzata e ‘normalizzata, situazione che descrive come “tra le peggiori forme di capitalismo. I corpi delle donne sono sfruttati al massimo”, e ciò è autorizzato e gestito dallo Stato tedesco. Con la legalizzazione è chiaro il messaggio che arriva agli uomini ( in prevalenza): essi hanno il diritto di comprare sesso senza alcuna vergogna o colpa. Lo stato favorisce pratiche sessuali indecenti incompatibili con la dignità umana. Kraus ha parlato con operatori sanitari e ginecologi che sostengono che la salute delle donne prostituite è catastrofica: presentano frequenti infezioni, dolori addominali e malattie veneree (IST), senza parlare del trauma psicologico procurato. Tutte loro troppo spesso vivono in condizioni igieniche estreme e si anestetizzano usando alcool e droghe. Sono queste le storie delle donne che i medici hanno visitato. Nonostante la legalizzazione, la maggioranza delle donne prostituite in Germania resta clandestina e non ha comunque accesso al sistema sociale. Il 95% delle donne è straniere e il 31% di loro ha meno di 21 anni. É come immaginare un’adolescente che non è in grado di parlare tedesco e si trova in una situazione del genere, completamente sopraffatta e quindi incapace di dire di no. Così lo stato ha abbandonato sempre più donne vulnerabili nella nostra società.

E che dire dell’impatto sulla tratta di persone? Con il modello tedesco si è assistito ad un incremento della tratta di donne per ‘sfamare’ l’industria del sesso e contemporaneamente una riduzione del numero di condanne per tratta di persone. Nel 2000 ci sono state 151 condanne contro solamente 32 nel 2011. Lo stato ha di fatto trasformato gli sfruttatori, i trafficanti, i proprietari di bordelli in riconosciuti uomini d’affari piuttosto che criminali. Rachel Moran descrive che ciò che le fa più male di quello che vede viaggiando nei luoghi del mondo dove la prostituzione è stata legalizzata, al di là dell’abuso sofferto dalle donne, sono i cambiamenti in chi viene protetto dalla legge. La polizia non protegge più le donne; la legge tutela i diritti dei papponi.

L’attivismo e la ricerca hanno condotto Moran nei bordelli di innumerevoli città e ciò che ha rilevato è che la violenza è uguale, se non peggiore, rispetto ai luoghi in cui la prostituzione è illegale. É “rimasta raramente sconvolta come a Monaco”, dove esistono i cosiddetti super-bordelli, in cui ci sono interi piani dedicati alle preferenze della clientela: il piano black, il piano gang bang, il piano trans e molti altri. Questo è il motivo per cui lei afferma di “tremare dalla rabbia quando la gente dice di voler legalizzare la prostituzione”.

Kraus ha utilizzato una potente analogia per mettere in luce il trauma psicologico vissuto da queste donne. E se immaginassimo 10.000 donne ritornare in Italia ogni anno completamente distrutte e traumatizzate dai bordelli tedeschi? Sarebbe una crisi nazionale, paragonabile ai soldati di ritorno da una guerra, ma una guerra per cosa? Non per la protezione della sicurezza nazionale o la prevenzione al terrorismo, ma per il ‘diritto’ degli uomini tedeschi di fare sesso quando vogliono, dove vogliono e con chi vogliono.

Ciò su cui Kraus, Bindel e gli altri oratori concordano è che la soluzione sia il Modello Nordico. Bindel è la prima a riconoscerne le imperfezioni, ma i fatti mostrano che esso ha un enorme potenziale nel migliorare notevolmente la situazione. Il suo successo consiste nel disincentivare i clienti e nel cambiare la percezione sociale nei confronti nell’acquisto di sesso. Alla richiesta su quale fosse la loro opinione sull’acquisto di sesso, i giovani tedeschi lo vedono normale e ‘cool’, cosa che non ci sorprende in un paese dove per pranzo si reclamizza l’offerta speciale ‘salsiccia + birra + donna’. I giovani svedesi, al contrario, lo considerano inaccettabile. Quale visione auspichiamo si diffonda tra i nostri giovani? Il Modello non consiste nella sola decriminalizzazione delle donne che vendono sesso e nella criminalizzazione degli uomini che lo comprano. Un altro elemento chiave è il sostegno alle donne che vogliono uscire dall’industria del sesso, cosa che nella stragrande maggioranza dei casi fanno spontaneamente. Bindel propone che i paesi in cui la prostituzione è illegale usino, per sostenere i servizi a favore delle donne, il denaro attualmente usato per arrestarle: l’idea è confiscare denaro e beni ai ‘gestori’ e proprietari dei bordelli e finanziare con questi soldi i servizi per le donne.

Siamo particolarmente grati a Moran e Blessing Okoedion per il loro coraggio nel parlare pubblicamente della loro esperienza nella prostituzione. Dobbiamo dare ascolto ai consigli e alla saggezza delle sopravvissute. Desideriamo ribadire, e chiedere ai nostri sostenitori di diffonderla, la richiesta che Moran ha rivolto a tutte noi alla fine del suo intervento in Parlamento: smettere di usare l’espressione ‘sex work’. Coniata per normalizzare la prostituzione, è spesso usata da persone ben intenzionate che vogliono attribuire dignità alle donne in prostituzione. Espressioni di questo tipo, comunque, gettano un velo di ipocrisia su tale situazione. La prostituzione non implica nè sesso nè lavoro. Il sesso è uno scambio consensuale reciproco tra adulti. Non è ciò che avviene in prostituzione, che viceversa è violenza sessuale dietro compenso.
Parte integrante della nostra lotta per abolire la prostituzione e la tratta di persone, è quantomeno chiamare le cose per quel che sono.