Rachel Moran ha impiegato dieci anni a scrivere il suo libro ‘Stupro a pagamento – La verità sulla prostituzione’, che racconta non solo i suoi sette anni in prostituzione, ma è un’analisi molto profonda del fenomeno della prostituzione, dove l’intreccio tra le discriminazioni sociali, sessuali e di razza è molto fitto ed evidentemente a danno delle persone, in gran parte donne, più vulnerabili ed emarginate. Da questa riflessione è nata l’idea di scrivere il libro, che è diventato, insieme al suo attivismo, uno strumento politico nella lotta alla prostituzione.

‘Non esistono dati così netti e sconfortanti come quelli relativi alla situazione canadese, – racconta Moran – ‘dove il 56% delle donne prostituite sono indigene, ma solo il 6% della popolazione è indigena, quindi solo il 3% della popolazione totale è rappresentata da donne indigene. Perciò, parliamo di più della metà delle persone prostituite provenienti dal solo 3% della società. Non si può non vedere in questi dati quanto è diffuso il razzismo nella prostituzione nelle società multietniche. Una mia amica, che gestisce un centro in Minnesota, da anni si occupa di ragazze giovani, che sono per circa il 70% afro-americane, in uno stato in cui solo il 10% della popolazione è afro-americano’.

L’8 ottobre scorso Rachel Moran è stata nostra ospite a Torino, per parlare del suo libro e per raccontare lo stretto legame che sussiste tra il fenomeno della tratta di persone per scopi sessuali e la prostituzione. Al fianco di Rachel, Ilaria Baldini, esponente di Resistenza Femminista, movimento che, insieme a noi, lotta da anni per l’abolizione della prostituzione, e che ha realizzato la traduzione di Paid For, il titolo originale del libro.

All’incontro, che si è tenuto presso il Centro culturale Dar Al Hikma, hanno preso parte esponenti politici quali le onorevoli Fabiana Dadone e Anna Rossomando, vice-presidente del Senato, e Giampiero Leo, vice-presidente Commissione Diritti Umani della Regione Piemonte, che dedicherà il 2019 ai diritti delle donne nel mondo.

Riteniamo che il tema della violenza legata alla prostituzione non debba appartenere solo ad un partito, ma debba necessariamente essere condiviso, come d’altronde ci ricorda chiaramente anche la risoluzione Honeyball, approvata nel 2014 dal Parlamento Europeo, che riconosce la prostituzione come una forma di violenza verso le donne e che considerarla un “lavoro sessuale”, con conseguente depenalizzazione dell’industria del sesso nel complesso, non sia una soluzione valida per proteggere donne e minori vulnerabili da violenza e sfruttamento, ma che sortisca l’effetto contrario, contribuendo a promuovere il mercato della prostituzione e accrescendo il numero di donne sottoposte a violenza ed abusi.

‘Secondo uno studio condotto dal Ministero della Famiglia tedesco’,  – ricorda Esohe Aghatise introducendo l’incontro – ‘oltre il 68% delle donne in prostituzione mostra disturbi da stress post – traumatico (PTSD), anche più gravi che quelli riscontrati nelle persone che hanno subito torture o avuto esperienze di guerra’.

Il tasso di omicidi nella prostituzione è più alto del 40% rispetto alla media nazionale; ma, racconta Rachel, altre ragioni di morte, ‘legate e causate dalla prostituzione’, sono legate all’uso di droga, al cancro alla cervice: ‘io stessa ero una tossicodipendente durante il periodo in prostituzione. E questi mezzi, che ci aiutano ad affrontare la realtà, ci uccidono. Ho avuto diversi episodi di overdose da cocaina. […] É un miracolo che ne sia uscita viva’.

Come membro della Commissione antimafia e presidente del Comitato contro la tratta, Dadone ha spiegato come il lavoro parlamentare sia stato efficace nel ricostruire le rotte, le regole e le organizzazioni criminali che fanno capo al traffico di persona e alla tratta: ‘le organizzazioni criminali straniere sono strutturate e si affiancano a quelle italiane; abbiamo scoperto che dai CAS le vittime vengono prelevate e smistate sul territorio. I flussi finanziari delle mafie extraeuropee si basano su sistemi di pagamento che non hanno passaggi di denaro, quindi è molto difficile tracciarli e smascherarli’.

Fondamentale, secondo Dadone, è colpire la domanda di servizi sessuali, a partire dal lavoro del Piano Nazionale Antitratta, e formare parlamentari e procure riguardo al fenomeno della tratta.

Tutto ciò richiede un investimento da parte dello Stato che, sottolinea Rossomando, è cresciuto negli anni: ‘gli 8 milioni di euro l’anno diventano 15 nel 2016 e oltre 22 milioni nel 2017, vincolati a progetti specifici nei quali alle vittime di tratta viene garantito il permesso di soggiorno in quanto vittima, assistenza psicologica e gratuito patrocinio, udienza protetta, presenza di uno psichiatra’.

Ciò che è in vendita, ha ribadito Rachel, non è il sesso, ma il potere utilizzato per accedere al sesso. Proprio ciò che accade in prostituzione: ecco perché, a nostro parere, quando parliamo di prostituzione parliamo inevitabilmente di violenza, basata su una mancanza di uguaglianza tra le parti.

E non solo: viene legittimata e giustificata attraverso il denaro pagato dal cliente, che quindi si sente autorizzato a compiere quella violenza. Dal canto suo, la vittima si sente compromessa, partecipe della violenza subita e ciò rende ancor più difficile da parte sua l’elaborazione del trauma, con il risultato, molto spesso, di dissociarsi da sé per costruire un nuovo sé. Judith Herman, psichiatra ed esperta di trauma, sostiene infatti che la prostituzione è dovunque e tutti sappiamo cos’è, ma fingiamo di non saperlo; è invisibile come un tempo lo erano lo stupro, l’incesto e la violenza domestica, violenze che sono parte di un sistema patriarcale.

Il recente movimento MeToo ha riportato alla luce la riflessione della mercificazione del corpo delle donne, schiacciate da una società ancora dettata da regole patriarcali e da uno spietato mercato dove tutto, anche la persona, diventa merce.

Ecco perché a nostro parere c’è uno stretto legame tra tratta e prostituzione: oltre il 75% di donne e bambini viene sfruttato per rispondere alla domanda di servizi sessuali, che è in gran parte maschile.

Ed ecco perché siamo sempre più convinte che la lotta a questi fenomeni deve partire dal contrasto alla domanda sessuale attraverso la criminalizzazione del cliente.

Il modello nordico, o modello svedese, anche conosciuto come Equality Model, oltre a criminalizzare il cliente, pone come fondamentali concrete strategie di uscita dalla prostituzione, che siano validi strumenti di SCELTA per le donne, – ribadisce Rachel, che esorta l’Italia a non ripetere l’errore della Germania, che ha regolamentato la prostituzione e ora è il più grande bordello d’Europa.