Questa è la storia di Adelina, una donna albanese che è stata trafficata per fini sessuali in Italia quando era ancora bambina. Dopo quell’esperienza è diventata attivista nella lotta contro la prostituzione, nella speranza che possa aiutare altre donne e ragazze a non vivere l’inferno che ha vissuto lei. 

“Purtroppo tutto quanto è cominciato con un sequestro in Albania. Io avevo 17 anni circa, stavo camminando vicino a casa mia e mi ha avvicinato una macchina e mi hanno portato in un bunker. Lì hanno cominciato a violentarmi in gruppo e picchiarmi. Non avevo mai avuto un rapporto con un uomo. Da lì è cominciato il mio inferno. In effetti, chi viene violentata e destinata alla prostituzione vive in un inferno. 

Prima di questo ero una ragazza tranquilla che veniva da una famiglia normale, povera ma normale. Andavo a scuola, andavo in piscina e c’era proprio la squadra di nuoto dove io andavo perché ero bravissima, ero molto veloce a nuotare.”

I tuoi genitori, quando c’è stato questo episodio, ti hanno cercata?

“No, sinceramente loro… forse, puo darsi all’inizio ma poi quando mi sono perduta poi mi hanno cancellata come figlia perché secondo loro io avevo disonorato la loro razza. Mi hanno semplicemente cancellata. Però, ogni tanto mi dico che forse l’hanno fatto per tutelarsi. Avevano altri figli. Non ho nessun contatto con loro. Ormai per me i fratelli e le sorelle non sono quelli del sangue, ma sono quelli che mi stanno vicino. 

Come sono arrivata in Italia? In gommone con un gruppo di ragazze, perché lì c’erano tantissime ragazze sul gommone e pure in quella casa dove stavo io, perché da quel bunker mi hanno portato in una casa. Da li poi in campeggio, dal campeggio al gommone, dal gommone in Italia. Era l’anno 1995 o 1996 se faccio il conto. Dopo, una volta giunta l’Italia era veramente infernale. Sono arrivata a Brindisi e poi siamo andati a nord Italia. 

Poi arrivai a Tradate, nel Varesotto,in una casa insieme ai miei sfruttatori e altre ragazze. Eravamo una decina di ragazze, la più piccola aveva 14 anni. Tutte albanese tranne una bulgara, che era stata comprata da poco. Ho saputo che la più piccola aveva 14 anni dopo che mi sono ribellata io, quando ho fatto la denuncia, perché hanno fatto gli esami alle ossa, i medici, e lì hanno capito che aveva 14 anni. Neanche io lo sapevo. Poi all’interno di questa casa c’erano delle donne che si occupavano esclusivamente di fare gli aborti alle altre donne che rimanevano incinte, con ferretti. In effetti il reato di riduzione in schiavitù è stato applicato in Italia per la prima volta da quella volta in cui mi sono ribellata io, quando feci la denuncia e partì l’operazione Acheronte dalla questura di Varese. Io, tra l’altro, sono la prima cittadina extracomunitaria ad aver usufruito dell’articolo 18, istituito con la legge Turco-Napolitano, in cui veniva riconosciuta la cosiddetta protezione sociale: è stato un cammino difficile e indimenticabile.

Sono stati 4 anni di inferno. Poi mi sono ribellata. I poliziotti venivano tutti i giorni a chiedere se potevano aiutare. L’hanno fatto per mesi, non mi sono fidata subito, e alla fine poi mi sono fidata di loro.

Furono denunciate 80 persone italiane, arrestate 40 persone di origine albanese e condannate dai 15 ai 20 anni di carcere. Io mi sono impegnata ad aiutare le altre donne. Abbiamo anche denunciato gli italiani. Con articolo 18 ero sotto protezione. Mi hanno messo in un posto nascosto per tanto tempo. Poi c’è stato il processo dove io ho riconosciuto tutti, quelli che mi minacciavano, ma io non avevo paura perché c’erano i miei angeli (carabinieri e polizia) Però mi hanno detto che mi avrebbero ammazzata. Da una parte dico meno male che i miei mi hanno cancellata perché si sono pure salvati.”

Quando è cominciata la nuova vita dopo tutto questo?

“Nel 2000. Ho fatto il battesimo, la comunione. Perchè io non ero niente prima. Nell’animo sono una cittadina italiana, ma per i documenti sono un fantasma, per motivi burocratici relativi alla tessera sanitaria, e altro. Il Presidente Mattarella ha il mio fascicolo: lui mi ha scritto quando mi sono operata quando ero in ospedale [con il cancro]. Mi hanno rinnovato il permesso di soggiorno di tipo umanitario. La sopravvivenza è al massimo 5 anni di quel tumore che ho io, salvo un miracolo di Dio. Il tempo che rimane da vivere voglio viverlo come cittadina degna di questo paese.”

Firmate la petizione online per chiedere al Presidente Mattarella la cittadinanza italiana per Adelina.   

Come vedi la prostituzione oggi?

“La prostituzione non è una libera scelta. O è una mancanza di opportunità e ci sono tante donne…. Noi abbiamo la schiavitù in Italia però ci sono quelle poche che non hanno alternative. Quella non possiamo chiamarla libera scelta. 

Ho visto con i miei occhi. Perché in questi 20 anni io ho lavorato in prima linea per liberare le ragazze dalla strada. Sul territorio italiano nessuna donna può prostituirsi da sola anche se lo volesse. Il territorio è gestito dalla criminalità organizzata. Ci sono quelle che si prostituiscono di nascosto per mancanza di sostegno economico, magari sono ragazze madri, ma lo fanno saltuariamente, perché i territori sono gestiti da altri. E poi ci sono quelle che lavorano negli alberghi di lusso, quelle che per varie ragioni subiscono discriminazioni, i trans ridotti in schiavitù salvati dalla polizia. Siamo sempre in illegalita. Quindi sono comunque dell’idea che dobbiamo dargli delle opportunità dignitose, perché nessuna donna vuole essere toccata da un uomo che lei non conosce. 

Come rispondi all’idea che dovremmo riaprire i bordelli perché sono gli strumenti di tutela per le donne e che la prostituzione significa dare un’opportunità alle persone, significa libertà individuale di una persona di scegliere cosa vuole fare della sua vita?

“Prima di tutto la prostituzione non può mai essere un lavoro di autodeterminazione come la definiscono ultimamente molte persone, che siano personaggi politici e quant’altro. Io dico un forte no perché qui in Italia abbiamo più di 120,000 donne vittime della tratta, donne violentate, sequestrate, torturata, rapita, ingannate, e ultimamente anche drogate. Perchè ultimamente la criminalità organizzata ha cambiato la tecnica, che in pratica le fa usare delle droghe finché loro diventano delle dipendenti. 

Quindi io dico un forte no. Anche perché vorrei dire a quei signori e le signore che propongono la prostituzione come attività di autodeterminazione, vorrei vedere se fossero le loro figlie a dire ‘‘papà ho trovato un lavoro di prostituta!’. Non penso che sarebbero molto contenti. E quindi devono pensare che quelle ragazze possono essere le loro figlie. Noi abbiamo l’industria del sesso che è ben organizzata, che ha interessi che tutto ciò venga legalizzato. Vogliono la modifica alla legge merlin e quant’altro perché così si toglie il reato del favoreggiamento della prostituzione e così i delinquenti se la possono spassare.”

Per cambiare la mentalità della gente, secondo te, di che cosa ci sarebbe bisogno? A parte la criminalizzazione del cliente, che cosa sarebbe opportuno al livello societario?

“Il cliente è complice della schiavitù di queste ragazze. Loro sono consapevoli di ciò che fanno. Per cambiare la mentalità bisogna fargli vedere la sofferenza che c’è, non punire nel senso cattivo ‘vedi, questa è una ragazzina di 13 anni, questa è tua figlia. Sta passando le pene dell’inferno. Se non porta questi soldi, lo sfruttatore la picchia, fanno del male alla sua famiglia Questa è la situazione e i soldi che tu dai alla ragazza non vanno neanche a lei, ma alla criminalità che compra armi, droga, altre ragazze.’”

Secondo te, quali sono le conseguenze psicologiche legate a questa tua esperienza?

“Sono devastanti, mi hanno rovinato la vita. Oggi potrei essere con la mia famiglia, avrei studiato, se non mi avessero sequestrata. Ma oggi posso dire che, proprio grazie a ciò che mi è successo, riesco ad aiutare altre ragazze, ne ho fatto una sorta di missione. Sono ragazze che soffrono, quanto meno te lo aspetti crollano. Lo Stato deve fare di più per loro, anche accompagnandole a cercare un lavoro, a integrarsi. Cambiare si può, liberarsi anche, ma lo Stato deve aiutare fattivamente le vittime di tratta.

Hai avuto una storia sentimentale importante in questi anni?

“Sì, molto importante, ma poi non si è sviluppata. Per le vittime di tratta è molto difficile realizzare questi sogni.”

Quali alternative dovrebbe offrire lo Stato?

“Un posto di lavoro, utile per l’autonomia e per ricostruire la dignità di una persona, una casa, che ha un affitto calmierato. Una volta pensavo che se avessi vinto al Superenalotto avrei creato il più grande centro di accoglienza per vittime di tratta, in cui avrei aperto una fabbrica tessile, dove avrebbero lavorato le ragazze. Molte di loro sanno cucire.”

 

Per chi vuole sapere di più della storia di Adelina, c’è questo video fatto da Andrea Laquidara, una dei 7 finalisti della categoria ‘Experimental Short’ al Lanús International Film Festival del 2018.